La sperimentazione del fare: l’indennizzo da mero ritardo nella conclusione del procedimento
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Quando si acquista un codice di “leggi amministrative” bisogna farlo nella consapevolezza che molte delle leggi più importanti subiscono sistematicamente modifiche e integrazioni, anche due o tre volte l’anno.
E’ ciò che periodicamente accade, ad esempio, per il Testo Unico dell’Edilizia, per il Codice degli Appalti e, addirittura, per la Legge sul procedimento amministrativo, la L. 241/1990.
Per di più, le modifiche sono spesso affidate alla decretazione di urgenza, per definizione precaria.
Ultimo episodio, il c.d. decreto del fare, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, il cui art. 28, non solo contiene una modifica all’art. 2-bis della Legge 241, ma vi affianca, come si vedrà “in via sperimentale”, alcune disposizioni che, pur avendo a oggetto il ritardo nella conclusione del procedimento e i relativi rimedi, restano fuori dall’impianto organico della Legge 241.
Senza pretesa di completezza, si osserva che il richiamato art. 28 riconosce all’interessato “a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro”.
Tale diritto all’indennizzo, riguardante i soli procedimenti a istanza di parte per i quali sussista obbligo di provvedere, può maturare solo se entro sette giorni dalla scadenza del suddetto termine, l’istante richieda l’esercizio del potere sostitutivo (art. 2, comma 9-bis, della L. 241/1990).
In tal caso, se il titolare del potere sostitutivo non conclude il procedimento o non liquida l’indennizzo, l’interessato potrà presentare, ai sensi dell’art. 117 c.p.a., un ricorso avverso il silenzio, corredato da domanda per ottenere l’indennizzo, ovvero, ai sensi dell’art. 118 c.p.a., un ricorso per ingiunzione.
Se il Giudice, però, ravvisa l’inammissibilità del ricorso o la manifesta infondatezza dell’istanza rimasta senza risposta, l’istante rischia una sonora condanna.
L’indennizzo da “mero ritardo”, ottenibile a prescindere dalla prova della “spettanza” dell’utilità finale ma fatto salvo il citato limite della manifesta infondatezza dell’istanza, si differenzia dalla fattispecie del risarcimento del danno da ritardo (art. 2-bis, comma 1, L. 241/1990), per ottenere il quale occorre provare il danno subito e, secondo i più, la spettanza dell’utilità finale e dunque il fatto che la richiesta ignorata sarebbe andata a buon fine (oppure che in concreto è andata a buon fine, sia pure in ritardo).
Il comma 10 dell’art. 28 dispone che per “i procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa” la nuova disciplina sarà applicabile “in via sperimentale” dalla data di entrata in vigore della legge di conversione; il successivo comma 11 chiarisce che, per tutte le altre tipologie di procedimenti, almeno per il prossimo anno e mezzo, la nuova disciplina non si applicherà, posto che, alla luce dei risultati del periodo di sperimentazione, dovrà essere un regolamento statale a stabilire la conferma, la rimodulazione o la cessazione delle disposizioni dell’art. 28 e l’eventuale termine a decorrere dal quale la disciplina stessa sarà estesa, anche gradualmente, ai procedimenti diversi da quelli indicati al comma 10.
In definitiva, il primo esplicito riconoscimento di un indennizzo da mero ritardo viene formulato, nel c.d. decreto del fare, con estrema cautela, oltre che con la previsione di nuovi meccanismi che rischiano di sovrapporsi agli ordinari strumenti processuali, determinando incertezze interpretative.
Solo la conversione del decreto, che possiamo sospettare avverrà con modificazioni, e il successivo periodo di rodaggio potranno confermare l’effettivo conseguimento degli obiettivi di semplificazione che il decreto della sperimentazione dichiara di perseguire.
Avv. Paolo Caruso
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