Nel rispetto dei fatti: “Diaz – Don’t clean up this blood”
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Al Parlamento Europeo è stato proiettato “Diaz”, film diretto da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Hanno fatto parte del cast: Elio Germano (nel ruolo di un giornalista della Gazzetta di Bologna) e Claudio Santamaria (nel ruolo di un poliziotto a capo di una delle squadre che fecero irruzione nella scuola).
Genova, luglio 2001. Sulla manifestazione anti-G8 grava il peso di un’uccisione, quella di Carlo Giuliani. La tensione è alta.
Il giorno successivo, il 21 luglio, alla polizia viene dato l’ordine di irrompere di notte in uno dei dormitori adibiti per i manifestanti, la scuola Diaz. I poliziotti agiscono secondo l’articolo 41 T.U.L.P.S., che consente loro di effettuare perquisizioni, senza autorizzazione, anche solo per indizio.
Le Forze dell’Ordine avrebbero dovuto perquisire l’edificio, immaginato come base di pericolosissimi gruppi anarco-insurrezionalisti. Ma la perquisizione si rivela piuttosto una “macelleria messicana”, come la definisce il vicequestore Fournier. I feriti – tra giovani, giornalisti e altri sventurati che dormivano nella scuola – sono più di 80, alcuni dei quali riportano lesioni gravissime.
Le armi più pericolose trovate? 2 bottiglie molotov che, come poi sancito dai Giudici, sono state introdotte nel cortile della scuola per giustificare gli arresti.
Come se non bastasse, a seguire: umiliazioni fisiche e psicologiche.
Tra coloro che avrebbero dovuto dare l’esempio di controllo e disciplina, alcuni hanno trasgredito le più basilari regole dei diritti umani, senza alcun rispetto delle Istituzioni e dei diritti democratici sanciti dalla Repubblica italiana: 93 persone hanno sofferto un arresto illegale, percosse e tre giorni di torture nella caserma di Bolzaneto.
Per una notte e tre giorni, la democrazia subisce un colpo e viene sostituita dalla forza dei manganelli.
Costole, braccia, gambe rotte; denti spaccati; giovani donne trascinate agonizzanti per i capelli lungo le scale.
È tutto? No. Dagli atti dei processi risultano momenti ancora più shoccanti, che la regia ha preferito non raccontare.
Pur tralasciando questi episodi inenarrabili, Vicari si è posto davanti agli eventi come un cronista che non teme di affrontare scomode verità.
Il realismo del film è profondo ed efficace. Non mancano però ritmi horror, e le scene sono ancora più spaventose se si considera che la violenza rappresentata sullo schermo è avvenuta nella realtà.
Una violenza tanto palese, quanto opaca nelle cause che l’hanno generata.
Prima dei titoli di coda, appare un rapido excursus dei provvedimenti presi dall’Italia in seguito a questi eventi.
Fa riflettere che:
– Non è mai stata aperta una commissione d’inchiesta.
– Le condanne per lesioni e calunnia sono andate in prescrizione (restano valide le condanne per falso in atto pubblico che andranno in prescrizione nel 2016). [La CEDU ha emesso sentenze con cui condanna l’Italia per l’abuso della prescrizione, in particolare nei processi sulle forze dell’ordine: la scadenza dei termini – si ribadisce a Strasburgo – impedisce in molti casi di rendere «giustizia» alle vittime].
– In merito al processo relativo a fatti del carcere/caserma di Bolzaneto, “la mancanza, nel nostro sistema penale, di uno specifico reato di tortura ha costretto il Tribunale a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di tortura adottata nelle convenzioni internazionali)” [sentenza del Tribunale di Genova del 14 luglio 2008].
Maria A. Povia
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