Conversazione con l’Avv. Filippo Pegorari, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale presso Roma Capitale
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“ROMA CAPITALE: D’ITALIA E DEI DIRITTI DEI DETENUTI”
La figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale è stata istituita con deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 90 del 14/05/2003.
Il 22 marzo del 2011 (ordinanza del Sindaco n. 78), l’Avv. Filippo Pegorari è stato nominato a ricoprire tale incarico presso l’ente territoriale Roma Capitale.
Primo atto ufficiale del Garante è stato sottoscrivere, nel 2011, il protocollo d’intesa con l’Ufficio Nazionale per la promozione della parità di trattamento (UNAR): un accordo che, come afferma , “raccoglie una nuova e impegnativa sfida, quella della verifica del principio di non discriminazione e della tutela della parità di trattamento delle persone private della propria libertà personale, in un contesto in cui, anche per condizioni logistiche e strutturali spesso difficili, i fenomeni discriminatori risultano sommersi e non percepibili”.
In questo primo anno di attività, oltre a partecipare a diverse attività, tra cui la Fiera Nazionale della piccola e media editoria di Roma “Più Libri più Liberi” per la divulgazione della tematica penitenziaria, l’Avv. Pegorari, ha instaurato rapporti di collaborazione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, per la creazione di sportelli informativi presenti all’interno degli istituti penitenziari della Capitale, e con l’Università di Roma “La Sapienza”, affinché per i detenuti studenti vi fossero lo snellimento delle pratiche amministrative di iscrizione ai corsi di laurea e l’esenzione delle tasse di iscrizione annuali.
Avvocato Pegorari, una domanda forse banale: qual è stata la sua reazione alla nomina da parte del Sindaco Alemanno?
Certamente di grande sorpresa, considerato che l’Amministrazione proveniva da un periodo in cui la figura del Garante dei diritti di una particolare fascia della popolazione (quale appunto quella detenuta peraltro non ben vista dalla maggioranza dei cittadini romani) era assente.
Qual è stato il Suo primo passo?
Apprendere, verificare, parlare, tastare con mano la situazione delle carceri. Per far questo ho passato i primi mesi del mio incarico a seminare, instaurando rapporti con i detenuti, con il personale di polizia penitenziaria, con gli operatori carcerari (psicologi, medici, educatori, cappellani) e con gli operatori del mondo del volontariato presenti nelle carceri. In tal modo ho potuto delineare il quadro della situazione in modo da delineare il piano d’azione per poi partire.
Quale la filosofia che contraddistingue la Sua “politica del fare”?
Cultura, Famiglia, Scuola, Sport, Lavoro, Comunicazione. Se il fine della pena è quello della riabilitazione della persona che ha commesso il reato, non si può prescindere dall’intraprendere tutte le azioni utili a promuovere la cultura in carcere e il mantenimento del rapporto con la propria famiglia senza la quale il detenuto si sente perso, non avendo più un punto di riferimento sicuro che lo guidi sulla strada del reinserimento in società.
Attività culturali nel senso più ampio del termine – insieme alle attività scolastiche e formative ed il lavoro – sono necessarie per permettere questo. Bisogna che i detenuti siano impegnati a fare qualcosa in modo costruttivo.
E per quanto concerne la comunicazione?
C’è troppa disinformazione sul settore. La mia azione punta molto sulla comunicazione, sul trasmettere notizie sulla “città scomoda”.
Per tale motivo ho partecipato, a dicembre, alla Fiera dell’Editoria di Roma, nel corso della quale ho potuto colloquiare con una moltitudine di persone inizialmente incuriosite e poi interessate al pianeta carcere. Intrattenermi anche con familiari o amici di detenuti che rappresentavano le problematiche più disparate e che cercavano un aiuto e anche, semplicemente, una parola di conforto.
Ecco, anche questo rientra nel mio compito, essere vicino a chi soffre per incoraggiarlo a camminare con le proprie gambe.
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