Legge in “Antigone” di Sofocle e Brecht

Scritto il 8/06/2011, 09:06.

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Testo fondante della tradizione giuridica occidentale, il mito di “Antigone” racconta il drammatico contrasto fra due modi diversi di intendere la giustizia.

Il conflitto si incarna in due personaggi: il re di Tebe Creonte e la giovane Antigone. Il primo ha emanato un editto per proibire la sepoltura di Polinice, accusato di essere nemico della patria; la seconda, sorella di Polinice, trasgredisce la legge appellandosi al diritto divino, preesistente alle regole imposte dall’autorità pubblica. L’epilogo di questo scontro è tragico.

La tragedia viene rappresentata per la prima volta ad Atene nel V secolo a.C. da Sofocle e affascinò studiosi di diritto e filosofi. Hegel, per esempio, la definì una delle opere d’arte più eccelse mai realizzate, intravedendo proprio nella mancata conciliazione tra Creonte (l’incarnazione della legge pubblica della città) e Antigone (l’espressione della legge della famiglia) la causa del doloroso finale.

L’irrisolto contrasto tra il re di Tebe e la giovane è il punto nodale di molte riletture del mito, di volta in volta reinterpretato sotto un altro sguardo. Tra le più note riscritture teatrali di Antigone, ricordiamo quella di Bertold Brecht, messa in scena sul finire della seconda metà del XX secolo. Ora Antigone viola l’ordine imposto “per dare l’esempio”, l’esempio di schierarsi con coraggio contro il tiranno. Nel dramma di Brecht, infatti, Creonte impersona un dittatore che sottomette il popolo tebano ed emana leggi a suo piacimento; Creonte è il generale, il signore della guerra, e non rappresenta più la legge della città. Il conflitto tra Antigone e Creonte diviene quindi l’espressione universale della lotta tra individui privati di libertà (gli oppressi) e individui che, detenendo il potere, privano della libertà gli altri (gli oppressori).

Nonostante le innumerevoli differenze, la pièce di Brecht e la tragedia sofoclea rappresentano entrambe il conflitto tra diritto naturale e diritto positivo: il primo inteso come complesso di regole, la cui origine risiede nella natura umana – cioè, nel fatto che l’uomo vive, ama, pensa, soffre, gioisce, crea opere, prega, crede in un Ente Supremo, ecc. – (quindi, come complesso di regole valide, efficaci e cogenti in ogni tempo e luogo, poiché preesistente ad ogni organismo politico); il secondo, invece, inteso come le regole imposte dall’autorità politica.

Maria A. Povia

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