La nuova normativa sull’ordinamento forense approvata dal parlamento

Scritto il 2/02/2013, 11:02.

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Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la “nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”, legge numero 247, promulgata lo scorso 31 dicembre 2012 dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, approvata in via definitiva dal Senato il 21 dicembre a larghissima maggioranza e pubblicata sulla G.U. n. 15 del 18 gennaio 2013.

Mi asterrò da valutazioni critiche limitandomi a esporre per sommi capi le novità normative, tuttavia non posso non rilevare come nel complesso il testo della legge sia molto diverso da quello unitario originario frutto del lunghissimo dibattito interno all’Avvocatura, e come la nuova normativa disegni, a mio avviso, un assetto della professione forense ispirato di fatto a quello del 1933, dunque tutt’altro che moderno, inadeguato ai cambiamenti socio-economici intervenuti.

Ma la principale osservazione “tecnica” che va fatta è, che in buona sostanza, la nuova normativa è un mero “canovaccio” sul quale dovranno necessariamente innestarsi più di una decina di regolamenti delegati di volta in volta al Governo o al CNF.

Il testo composto di 67 articoli si suddivide in 6 Titoli:

il concerne le “Disposizioni generali”;

il II° è intitolato “albi elenchi e registri”;

il III° è dedicato agli “organi e funzioni degli ordini forensi”, e a sua volta si articola in 4 Capi e cioè: l’Ordine Forense; l’Ordine circondariale; il Consiglio Nazionale Forense; il Congresso Nazionale Forense;

il IV°, intitolato “Accesso alla professione forense”, disciplina il “tirocinio professionale” (capo I) e “l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato” (Capo II);

il regola “il procedimento disciplinare” ed è suddiviso in due Capi, il primo dei quali reca “norme generali” mentre il secondo riguarda il “procedimento”;

il VI°, infine, si intitola “Delega al Governo e disposizioni transitorie e finali”.

La prima norma da evidenziare è l’art. 2, fortemente voluto dall’Avvocatura, perché introduce la riserva di competenza in materia di consulenza legale e assistenza stragiudiziale, anche se l’estensione della riserva è stata molto ridotta durante l’iter parlamentare.Infatti, se la disposizione, per un verso, attribuisce in via esclusiva agli avvocati le predette attività, allo stesso tempo stabilisce due eccezioni: la consulenza infatti è consentita agli esercenti altre professioni regolamentate quando sono richieste competenze proprie di queste categorie ed è inoltre consentita se svolta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro ovvero degli associati e degli iscritti di un ente esponenziale portatore di un interesse di rilievo sociale.

L’art. 4 disciplina l’esercizio in forma associato della professione ammettendo anche la multidisciplinarietà, ossia consentendo che alle dette associazioni possano aderire anche altri liberi professionisti appartenenti a categorie individuate mediante regolamento ministeriale. La norma espressamente prevede che, fatta eccezione per le associazioni multidisciplinari, possano essere soci di questi sodalizi solo coloro i quali sono iscritti all’albo forense. Interessanti sono la previsione secondo cui tanto gli avvocati quanto le associazioni possono stipulare contratti di associazione in partecipazione e la disposizione che definisce i redditi delle associazioni finalmente secondo criteri di cassa e non di competenza come la precedente normativa sulle società professionali.

All’art. 5 è disposta la delega al Governo affinché regoli l’esercizio in forma societaria della professione forense attenendosi ad alcuni fondamentali principi.
Tra questi si segnalano quello che riserva la qualità di socio ai soli avvocati iscritti agli albi, con esclusione del socio di capitali, ovvero quello che vieta la nomina di amministratori scelti tra estranei alla compagine sociale, ovvero quello che qualifica redditi di lavoro autonomo (anche ai fini previdenziali) i proventi prodotti dalla società. Tra i principi ai quali dovrà attenersi il Governo nella delega ve ne è poi uno teso di fatto a limitare l’intervento delle società di capitali: il decreto legislativo dovrà prevedere infatti che la responsabilità della società e quella dei soci non escludano la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione.

L’art. 9 prevede per gli Avvocati la possibilità di specializzarsi (senza che questo costituisca però riserva di attività professione) o all’esito di percorsi formativi almeno biennali, ovvero per comprovata esperienza in un ambito particolare del diritto, autocertificabile. A riguardo sono stati affidati alle Università i corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista, sarà comunque il CNF a prevederne le modalità con proprio regolamento.

La formazione continua disciplinata dall’art. 11 invece, da obbligo previsto dal codice deontologico, diventa un dovere al quale dovrebbero soggiacere per legge tutti gli iscritti agli albi professionali, per gli avvocati però solo sino al compimento del 25° anno di iscrizione all’albo o al 60° anno di età.

L’art. 12 rende obbligatorie le assicurazioni per la RC professionale e quelle sugli infortuni propri del professionista e dei suoi collaboratori.

Quanto al compenso (art. 13), rimane il divieto di minimi inderogabili: la pattuizione dei compensi è libera e il preventivo scritto di massima è necessario solo se espressamente richiesto, ma il legislatore per ciò che concerne il patto di quota lite ha vietato accordi che prevedano come compenso l’attribuzione all’avvocato di tutto o parte del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, e ha altresì reintrodotto il diritto al pagamento delle spese forfettarie eliminato dai parametri “agostani”. Sarà compito del CNF a proporre al Ministro il testo dei parametri per i compensi da liquidare giudizialmente, ogni due anni.

Viene data dall’art. 16 delega al Governo per il riordino delle Difese di Ufficio.

La legge indica invece all’art. 18 le incompatibilità, di fatto ricalcando l’art. 3 del vecchio ordinamento forense: è infatti ribadita l’assoluta incompatibilità dell’esercizio della professione legale con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuamente o professionalmente e la incompatibilità con qualunque tipo di impiego e di attività d’impresa.

È però stabilito dall’art. 21 che il mantenimento dell’iscrizione all’albo sia subordinato alla prova dell’effettivo, continuativo, abituale e prevalente esercizio professionale secondo criteri da determinare, (anche qui con regolamento del CNF) ma con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale. La norma introduce, inoltre, una novità molto rilevante perché l’iscrizione agli albi implica la contestuale iscrizione alla Cassa Forense, anche se l’Ente previdenziale dovrà determinare minimi contributivi ad hoc per quegli iscritti che non raggiungono i minimi reddituali.

Viene, poi, introdotto dall’art. 22 l’esame obbligatorio per i Cassazionisti dopo 5 anni di iscrizione ovvero in forma attenuata dopo 8 e frequenza di un corso presso il CNF, sono tuttavia fatti salvi i diritti quesiti degli attuali iscritti all’albo e di coloro che maturino i requisiti previsti dal vecchio ordinamento entro 3 anni dall’entrata in vigore della nuova normativa.

La legge aumenta con l’art. 28 il numero dei componenti dei Consigli degli ordini territoriali che, in relazione agli iscritti, potranno avere un numero di consiglieri da un minimo di cinque ad un massimo di venticinque.
Il mandato sarà quadriennale e rinnovabile per una sola volta. Inoltre dovrà essere garantito l’equilibrio tra i generi con la espressa previsione che quello meno rappresentato non potrà esprimere meno di un terzo dei consiglieri. Viene introdotta la incompatibilità tra incarichi alla Cassa e nei COA.
Analogo equilibrio dovrà essere garantito all’interno del Consiglio Nazionale Forense, il quale manterrà l’esercizio della funzione giurisdizionale e di quella regolamentare (anche se, come detto, la legge affida alla competenza del Ministero di Giustizia la emanazione dei molti regolamenti di attuazione del nuovo ordinamento professionale).

L’art. 34 modifica invece, ancorché parzialmente, la composizione del CNF creando un rapporto tra il numero degli avvocati iscritti ai Distretti di Corte di Appello ed i membri del CNF, senza però di fatto mutare lo squilibrio tra ordini grandi come Roma o Milano e ad esempio quelli Siciliani determinato dal numero dei distretti di CDA.

L’art. 39 disciplina il Congresso Forense, che dovrà essere convocato dal CNF ogni tre anni e che eleggerà una delegazione permanente per l’attuazione dei suoi deliberati (l’attuale OUA).

L’accesso alla professione è disciplinato invece dagli articoli che vanno dal 40 al 49 ove è previsto che la durata del tirocinio, ritenuto ancora momento fondamentale per la formazione dei futuri avvocati, si riduca a 18 mesi e per non più di 6 mesi potrà essere svolto dagli studenti regolarmente iscritti all’ultimo anno del corso di laurea in giurisprudenza.
Inoltre, il tirocinio sarà compatibile con una qualche attività di lavoro subordinato pubblico e privato, purché con modalità ed orari idonei a consentire l’effettivo e puntuale svolgimento della pratica forense. Il tirocinante avrà sempre diritto al rimborso delle spese sostenute per conto dello studio e, dopo il primo semestre, l’avvocato gli potrà riconoscere, con apposito contratto, una indennità e/o compenso “commisurato all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni e tenuto altresì conto dell’utilizzo da parte del praticante avvocato dei servizi e delle strutture dello studio”. Al tirocinio dovrà comunque affiancarsi la frequenza obbligatoria di una scuola gestita dagli ordini, dalle associazioni forensi e da altri soggetti a ciò abilitati dalla legge. L’esame di Stato sarà annuale, e i candidati non potranno avvalersi dell’ausilio dei codici commentati.

L’articolo 51 è dedicato alla istituzione dei Consigli distrettuali di disciplina, che costituiscono l’effettiva novità della legge perché diventano gli organi deputati alla attività di controllo deontologico. I Consigli sono composti da membri eletti con le modalità che saranno determinate con regolamento dal CNF. Essi si articolano in sezioni composte da 5 titolari e 3 supplenti. Delle sezioni giudicanti non possono fare parte membri appartenenti all’ordine al quale è iscritto il professionista incolpato.
La legge tipizza le sanzioni, individuandone 5: richiamo verbale, avvertimento, censura, sospensione da due mesi a cinque anni e radiazione. Il procedimento si articola in una fase istruttoria preprocedimentale nella quale il Presidente del Consiglio distrettuale nomina un consigliere istruttore il quale propone al Consiglio una richiesta motivata di archiviazione o di approvazione del capo di incolpazione. Il Consiglio delibera senza la presenza del consigliere istruttore, che non può far parte del Collegio giudicante. Il procedimento è regolato da alcuni principi fondamentali che intendono assicurare la imparzialità, il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa.
La decisione, qualunque essa sia, sarà sempre impugnabile dinanzi al CNF da parte del Consiglio dell’ordine di appartenenza, del Procuratore della Repubblica e del Procuratore Generale del distretto della Corte di appello ove ha sede il Consiglio Distrettuale di Disciplina che ha emesso la decisione. L’incolpato invece potrà ricorre solo nel caso in cui sia stata affermata la sua responsabilità.

Per contrastare l’attuale non infrequente inerzia nell’esercizio dell’azione disciplinare da parti dei COA l’art. 63 della legge affida poteri ispettivi al CNF, il quale potrà richiedere ai Consigli distrettuali di disciplina notizie sull’attività svolta e potrà nominare ispettori che vigilino sul regolare funzionamento degli organi deputati al controllo deontologico.

Concludono il testo della legge la delega al Governo per i regolamenti a completamento della legge da emanarsi entro 24 mesi e le disposizioni transitorie e finali.

Avv. Stefano Rubeo

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