L’ingiustificato abbattimento dei compensi per gli avvocati
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Con il DM 20/72012 n. 140 del Ministero della Giustizia “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della Giustizia, ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 27”, sono stati introdotti nel nostro ordinamento i c.d. “parametri” per la determinazione giudiziale dei compensi degli Avvocati, in sostituzione delle abrogate “tariffe”.
I parametri dovranno essere utilizzati dal Giudice per la determinazione del compenso solo ove l’Avvocato non abbia, mediante contratto, convenuto con il proprio cliente una determinazione diversa che è lasciata alla libera contrattazione.
Da notare come il Ministero non abbia minimamente preso in considerazione lo schema di “parametri” redatto e proposto dal CNF a Maggio u.s. seguendo la procedura da seguita settant’anni per l’approvazione delle vecchie tariffe, agendo interamente d’imperio senza consultare l’Avvocatura!
A tal riguardo si sottolinea che in conseguenza del nuovo meccanismo di regolazione dei compensi è venuta meno, a partire dal 13 Agosto 2012, anche la possibilità per gli Avvocati di avvalersi dei COA per ottenere il parere di congruità sugli onorari e di conseguenza una ingiunzione di pagamento, salvo che non si abbia un contratto scritto con il proprio cliente.
Venendo al merito occorre denunciare l’immotivato, ingiustificato ed indiscriminato abbattimento degli importi dei parametri relativi ai compensi per gli Avvocati, rispetto alle abrogate tariffe del 2004, pur dichiarate riferimenti “ragionevolmente orientativi” (cfr. Relaz. Min. pag. 6).
Ciò costituisce di fatto un “vulnus” anche per il cittadino atteso: se il professionista ha contrattualizzato il proprio cliente ottenendo un giusto compenso, questi, in caso di vittoria di lite, rischia di ottenere dal Giudice un rimborso delle spese legali nettamente inferiore a quanto pagato al proprio Avvocato.
Infatti, da un esame complessivo delle tabelle allegate al decreto i parametri degli onorari risultano sensibilmente inferiori ai valori medi del 2004.
Inoltre, il D. M. considera l’indice di variazione dei prezzi al consumo ISTAT solamente in relazione al periodo 2004-2009, trascurando il periodo 2009-2012!
A tali considerazioni si aggiunge un’anomalia che concerne la mancata considerazione del rimborso delle spese generali, quantificato dall’art. 14 dell’abrogato D.M. 127/2004 nella misura del 12,5%.
Voce di costo autonoma, indipendente dal valore e dalla complessità delle questioni trattate e dalla spese sostenute e documentate, direttamente correlata alla gestione dello studio professionale. Voce che costituiva una terza componente necessaria nella determinazione del compenso professionale.
Il D.M., escludendo la rilevanza di tale voce “di costo” all’art. 1 comma 2, consente al Giudice di liquidare solamente le spese documentate per quel particolare procedimento; in tal modo, il compenso professionale viene ulteriormente decurtato.
Alla luce di ciò l’Avvocatura tramite le Associazioni forensi l’OUA e il CNF hanno richiesto al Ministero quantomeno di:
A) Aumentare i valori indicati nel Decreto e nelle Tabelle relative ai parametri degli Avvocati, computando effettivamente diritti ed onorari mediamente ricorrenti.
B) Introdurre una voce di compenso denominata spese generali e fissarlo, come già in passato, al 12,5%.
C) Introdurre l’obbligo di motivazione per evitare l’arbitrio del Giudice, ciò in quanto i parametri costituiscono un insieme di valori di riferimento, che consentono al Giudice di liquidare il compenso professionale in difetto di accordo tra le parti. Al comma 7 dell’art. 1, tuttavia, si specifica che le soglie numeriche indicate non sono in nessun caso vincolanti. Al fine di scongiurare l’eventuale rischio di un totale arbitrio dell’organo giurisdizionale nell’attività di liquidazione, sarebbe necessario inserire un obbligo di motivazione in capo al giudice che si discosti sensibilmente dai parametri indicati. Tale previsione consentirebbe, se non altro, di poter sondare la ragionevolezza dell’iter logico seguito dal giudice nel procedimento di liquidazione dei compensi, rendendo possibile una verifica del rispetto dei parametri generici indicati dal D. M. (quali complessità della questione, pregio dell’opera, o urgenza) e dall’art. 2233 c.c., secondo cui il compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Con ciò si favorirebbe un’applicazione uniforme dei parametri per tutti gli organi giurisdizionali, anche al fine di evitare che tali indicazioni siano destinate a rimanere sulla carta e non trovare applicazione alcuna.
D) Distinguere l’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria (art. 4) dalla fase esecutiva che è contemplata dal DM quale momento necessario dell’attività giudiziale e non come è nella realtà un procedimento autonomo, che prende le mosse dal mancato adeguamento della parte soccombente alla sentenza. Fase dunque per la quale è prevista, allo stato, un compenso che risulta attribuito all’avvocato e al suo cliente, quale rimborso, solamente in maniera figurativa.
L’Avvocatura ha altresì denunciato l’incompletezza della previsione di un unico scaglione di valore, per le cause per importi superiori ad euro 1.500.000,00 in quanto non consente di adottare un meccanismo razionale di ragionevole previsione ed adeguato sviluppo degli onorari per importi superiori. La mancanza di specifiche indicazioni sul punto condurrebbe a liquidazioni del tutto differenti sull’intero territorio, affidate esclusivamente all’arbitrio dell’organo giurisdizionale decidente, peraltro relative a controversie di valore elevato, che comporteranno un compenso professionale economicamente rilevante a carico dei clienti e non adeguatamente rimborsato agli stessi in caso di vittoria di lite, con un conseguente imbarbarimento del sistema mediante un prevedibile ricorso degli avvocati e dei loro clienti al patto di quota lite non più vietato dalla norma. Anomalie ulteriori meritano di essere evidenziate in relazione ai parametri relativi ai procedimenti per ingiunzione e per la redazione del precetto, di cui alla Tabella A – Avvocati allegata al D.M., che vede una riduzione eccessiva degli scaglioni di valore in relazione a tali procedimenti. Questo intervento conduce infatti ad una valutazione eccessivamente semplicistica, penalizzando l’operato del professionista, e spingendo il Giudice a non valutare l’attività effettivamente svolta e la complessità della questione affrontata.
Sorprende a tal riguardo la circostanza che il legislatore per la liquidazione delle spese relative a decreti ingiuntivi e precetti, nell’abolire i vecchi “diritti” ad importo fisso ha contemplato solo gli onorari senza indicare un valore medio di riferimento fornendo invece un range di importi, quasi si trattasse delle vecchie tariffe minime e massime.
Ventaglio di importi, a disposizione del giudice che non si presenta di facile fruibilità e recepisce l’indirizzo di drastico abbattimento dei parametri per i compensi degli avvocati: l’importo minimo liquidabile, infatti, risulta in ogni caso di gran lunga inferiore alle vecchie tariffe minime!
Da denunciare, infine, come gravissime e prive di giustificazione siano le drastiche riduzioni (sino) alla metà previste dall’art. 9 del D.M. in relazione alle controversie per irragionevole durata del processo e la liquidazione delle prestazioni svolte in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato (e conseguentemente anche nelle difese di ufficio per gli irreperibili e i soggetti non capienti) anche in materia penale.
L’assenza di una reale motivazione che giustifichi lo scostamento dai parametri generali, quali la complessità e quantità delle questioni trattate, non consente di considerare legittimo tale ulteriore abbattimento operato in via generale e di principio.
La riduzione prevista per il patrocinio a spese dello Stato, peraltro, risulta così gravemente lesiva del diritto di difesa dei soggetti più deboli e rischia di tradursi in un concreto ostacolo al diritto costituzionalmente previsto del libero accesso di tutti cittadini alla giustizia.
Avv. Stefano Rubeo
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