Una professione liberalizzata

Scritto il 10/04/2012, 08:04.

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Quando ho letto il testo della legge 12 novembre del 2011 n. 183 art. 10 ed in particolare:

“[… ] è consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo modelli societari regolati dai titolo V e VI del libro V del codice civile […] alla lettera b) l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché cittadini degli stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento”, ho pensato che si fosse portato a termine il terribile equivoco – non so quanto in buona fede – relativa alla “situazione” degli avvocati italiani.

Poi sono iniziate le richiese di modifica e le proteste dell’avvocatura.

Tuttavia il tema delle liberalizzazioni e della riforma forense che vede gli avvocati italiani compatti ed uniti per rivendicare le proprie prerogative appare all’esterno come una posizione anacronistica ed incoerente rispetto alle dinamiche sociali e non tiene conto del fenomeno della globalizzazione e del processo di integrazione politico-economica europea.

La rappresentanza dell’avvocatura ha trascurato, a mio parere, più o meno in forma consapevole, la certezza di una diversificazione e differenziazione delle figure dell’avvocato italiano in rapporto a differenti figure professionali in contrasto con le diverse tipologie professionali come il “solicitor” o di quanti, in altri paesi europei, anche se in forma impiegatizia, svolgono valide attività ma che nulla hanno a che vedere con la professione giudiziale forense e con la c.d. specializzazione giurisdizionale.

Il messaggio che passa è che gli avvocati italiani vogliono svolgere l’attività di consulenza legale e l’attività giurisdizionale mantenendo il patrocinio davanti alla giurisdizione pubblica, allo stesso tempo non vogliono l’equiparazione alle imprese con il rischio di impresa ma siedono, qualche volta, in autorevoli consigli di amministrazione.

Non ho mai discusso sul mio trascorso “politico” nelle rappresentanze dell’avvocatura italiana ma debbo confermare il dissenso sull’attuale “scontro” fatto di astensioni e, a mio parere, di rivendicazioni sbagliate che porteranno non solo a perdere ulteriore credibilità ma ad essere, definitivamente, travolti dagli eventi e dagli equivoci formali e sostanziali.

La situazione attuale, è inutile girarci intorno, parte dalla direttiva 006/123/CE del Parlamento Europeo del 12 dicembre 2006 (dir. Bolkestein) che, tuttavia, al paragrafo 33 recitava: “Sono oggetto della presente direttiva anche i servizi prestati alle imprese sia ai consumatori , quali i servizi di consulenza legale o fiscale, etc…”. Nulla si diceva in tema di attività giurisdizionale degli avvocati e di coloro che avevano, ed hanno, la tutela legale dei cittadini davanti alla giurisdizione pubblica nazionale ed europea.

Il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo del 2010 in attuazione della predetta direttiva ha ampliato il campo di applicazione indirizzato e qualificato per l’attività di consulenza ricomprendendo non la materia e l’oggetto del servizio ma, invece, la professione forense nella sua totalità.

Un bel salto anche perché non mi risulta che gli avvocati italiani, a mezzo dei loro rappresentati, abbiano mai rinunciato a svolgere attività di consulenza o abbiamo richiesto ed ottenuto la creazione di nuove figure professionali.

Dopo quella direttiva, a mio parere, bene avrebbero fatto, viceversa, ad affermare la necessità di distinguere l’attività di consulenza dall’attività giurisdizionale e a creare specifichi campi di specializzazione in modo da individuare cosa poteva e doveva essere oggetto di liberalizzazione (come l’attività di consulenza ed assistenza extraprocessuale) e cosa doveva restare riservato e protetto come la tutela giurisdizionale pubblica e specializzata.

E se qualcuno spera che si rinunci a quanto prospettato dal paragrafo 4 della direttiva citata: “[…] I servizi costituiscono il motore della crescita economica e rappresentano il 70% del PIL e dei posti di lavoro nella maggior parte degli Stati membri”, non solo si sbaglia ma dovrebbe incominciare a ragionare in termini di attività riservate e di tutela della giurisdizione pubblica non certo per la difesa dell’attività di consulenza o di dipendenza o comunque di tentativo di salvataggio del “tutto” affermando, ingenuamente, che non si sappia quanto valore in termini economici e politici ruoti intorno ai servizi legali.
Ad maiora!

Avv. Antonio Ferdinando De Simone

A. F. De Simone è l’autore del testo “Patrocinio a spese dello stato e difese d’ufficio” e, in corso di pubblicazione, di “Legalità e sicurezza”

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