Davvero manca un rimedio risarcitorio nell’ordinamento italiano?
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Pochi giorni dopo la sentenza Torreggiani, la Suprema Corte di Cassazione, in data 15 gennaio 2013 (sent. 172/2013), si è pronunciata su una questione che aveva creato contrasti giurisprudenziali negli ultimi anni: l’individuazione della competenza a risarcire il danno da lesione dei diritti dei detenuti. La problematica era sorta in Italia in seguito alla sentenza della Corte Edu Sulejmanovic c. Italia del 16 luglio 2009, che, per la prima volta, aveva condannato il nostro paese per violazione dell’art. 3 CEDU in relazione al sovraffollamento delle carceri poiché tale articolo, imponendo allo Stato di proteggere l’integrità fisica della persona privata della libertà, sancisce uno degli aspetti fondamentali e tipici di una società democratica.
Nella sentenza 172/2013 la Suprema Corte precisa che, in assenza di una disposizione specifica al riguardo, quando si tratta di conoscere circa le pretese risarcitorie nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, fondate sulla violazione del diritto soggettivo derivante in capo ai detenuti dall’art. 3 CEDU, è competente il giudice civile. Tale arresto giurisprudenziale, potrebbe individuare quello che la Corte considera remèdes compensatoires (“rimedi compensatori”) diretti a garantire la tutela richiesta dal detenuto.
La Cassazione giunge a tale conclusione basandosi su un principio generale dell’ordinamento: qualora non vi siano specifiche norme derogatorie, il giudice civile è il giudice generale dei diritti soggettivi, cui è affidata naturalmente la tutela giurisdizionale.
In particolare, nella sentenza, si legge che “…la magistratura di sorveglianza non ha competenze generali di cognizione se non quelle specifiche in ambito esecutivo; il Magistrato di Sorveglianza, nella sua essenza, resta un giudice che sovrintende all’esecuzione della pena. Non può dirsi, dunque, che l’ordinamento disegni un suo potere generale di ius dicere per qualsiasi questione afferente i diritti dei detenuti, pur collegati all’esecuzione della pena”.
La questione è stata affrontata per la prima volta nel 2011 quando il Magistrato di Sorveglianza di Lecce, il 9 giugno 2011, Giudice Tarantino, aveva stabilito che il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. può essere ottenuto mediante il reclamo presentato al Magistrato di Sorveglianza ai sensi degli artt. 14 ter, 35, 69 comma 5 ord. penit..
Nel 2012 il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli, con ordinanza del 18 aprile, Giudice Fiorentin, è giunto a una soluzione opposta: si esclude, infatti, che possa essere azionata una pretesa risarcitoria innanzi al Magistrato di Sorveglianza, questo perché, qualora si accedesse a tale soluzione, si ritiene che si aggiungerebbe qualcosa che la legge non dice espressamente, che, pertanto, deve rimanere oggetto di una scelta discrezionale del legislatore.
A questo punto ci si chiede: sarà considerato sufficiente questo rimedio secondo i parametri della Corte EDU? Sarebbe stata condannata lo stesso l’Italia qualora la sentenza Torreggiani c. Italia fosse stata anche solo di poche settimane successive?
Inoltre, l’Italia sarebbe stata condannata anche qualora si fosse solo considerata l’idea che la mancanza di competenza del Magistrato di Sorveglianza in tema di risarcimento del danno non equivale a un vuoto di tutela perché si ha sempre la possibilità di adire il giudice civile?
Ovviamente tale risposta riguarderebbe solo i rimedi “riparatori” del danno subìto; per quanto riguarda i rimedi “preventivi” il nostro paese deve ancora individuare un sistema adeguato.
Dott.ssa Federica Spinaci
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