È possibile oggi rieducare in carcere?

Scritto il 16/03/2013, 03:03.

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PrisonChi si occupa delle problematiche educative, in genere, imposta il discorso intorno al tema dei valori, per cui si pretende che l’altro si convinca delle nostre verità. È una strategia che non funziona per il fatto che anche chi commette un reato ha i propri valori, le proprie certezze e chi lo contrasta fa il medesimo gioco, agisce secondo i propri valori di riferimento.

Questo non significa che l’educatore penitenziario non deve intervenire sulla riflessione di criminogenesi del reato, ma certamente deve cambiare strategia per evitare che si creino barriere e distanze con il soggetto interessato, per evitare che il suo intervento sia la “pretesa” autoritativa di imporre un comportamento strutturato secondo risposte compiacenti la richiesta di normalizzazione da parte della società con il rischio di annientare le note differenziali di ciascuna personalità.

La detenzione, infatti, non deve essere considerata necessariamente come un’esperienza frustrante, ma può costituire un’opportunità offerta dalla società alla persona per il tempo di riorganizzarsi in senso cognitivo e psichico a ricercare un nuovo equilibrio con la strutturazione di un nuovo Sé rispetto al pregresso vissuto e che, a volte, può significare un’ulteriore involuzione in senso antisociale con la recidiva.

Gli effetti della detenzione, infatti, variano da persona a persona: alcuni cercano di adattarsi, ma talvolta hanno ricadute, altri migliorano il loro atteggiamento ma sono orientati verso desideri di morte, altri ancora diventano gregari per trovare chi gli chiarisce il suo senso di realtà e di giustizia. Così le alternative possibili sono di cambiamento interno, centrate sulla singola personalità.

La strada da percorrere è quella di accogliere le “ragioni dell’altro”, poiché ogni altro, nella sua diversità ha le proprie motivazioni che lo hanno portato a scegliere il reato anziché la giustizia: accogliere l’altro richiede un cambiamento di logica e di valutazione rispetto a tutto ciò che è diverso da noi e ciò significa anche un’opportunità di crescita personale, prima ancora che professionale, perché l’altro, con la sua diversità da noi, viene in carcere con il problema della propria autodistruttività che lo ha condotto alla commissione del reato.

Ecco, mi piace pensare al carcere come possibile contenitore di vita, che può promuovere le parti positive, quelle potenzialità innate presenti in ciascuna persona, indipendentemente dal livello di distruttività espresso con la pregressa condotta delinquenziale e dalla tensione ed aggressività che in carcere si manifesta per le varie problematiche e contraddizioni insite in tale istituzione.

È importante allora che l’educatore instauri con il detenuto un rapporto autentico, privo di etichette e di stigmatizzazioni: durante il trattamento ed i colloqui, l’educatore è chiamato nei confronti di tutti i detenuti, a prescindere dal reato commesso, alla ricostruzione del sentimento positivo del Sé per maturare in loro un atteggiamento di progettualità di vita che si discosti dalla scelta di vita criminale.

In tal senso l’educatore deve aiutare i detenuti a valutare soluzioni progettuali di fronte alle difficoltà personali, affettive, economiche, culturali. E, a differenza dell’assistente sociale dell’U.E.P.E. e dello psicologo esperto ex. art. 80 o.p. il cui compito è circoscritto al tempo del colloquio, l’educatore deve essere in grado di cogliere qualsiasi occasione trattamentale per trasformarla in strumento di reinserimento costruttivo nella società.

L’educatore è, infatti, il tecnico del comportamento, che non significa convertire o cambiare il modo di essere, di pensare delle persone adulte-detenute, quanto piuttosto quello di offrire opportunità di modifica degli atteggiamenti, che messe insieme ai contributi degli altri operatori intervenuti sul caso, ciascuno in base alle specifiche competenze e coordinati dall’educatore in qualità di segretario tecnico dell’équipe, possono costituire un percorso più amplio di reinserimento sociale.

Compiti tutti affidati dal legislatore della riforma del 1975 all’educatore, nelle sue multifunzionali competenze trattamentali, sul presupposto indefettibile del conseguimento del mandato istituzionale: il reinserimento sociale.

Dott.ssa Deborak Moccia

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