La Consulta ribadisce il NO alla custodia cautelare in carcere obbligatoria
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IL FATTO
Con sentenza n. 232 del 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale, (come novellato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modifiche, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38) nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609 octies c.p. Violenza sessuale di gruppo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono necessità di tipo precauzionale – non esclude l’ipotesi per cui vi siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulterebbe che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Nei fatti in oggetto, a tre degli indagati veniva contestata la partecipazione in funzione essenzialmente di “spettatori” ed istigatori per un singolo episodio della violenza sessuale di gruppo, diverso per ciascuno di essi, mentre, proprio il fidanzato della persona offesa aveva svolto un ruolo fondamentale nella costrizione e nell’esecuzione del rapporto sessuale, al quale, in occasioni diverse, gli altri indagati avevano assistito.
La censura della Corte costituzionale in merito alla norma stigmatizzata si informa ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza, di inviolabilità della libertà personale e di presunzione di non colpevolezza e si incardina sulla considerazione che la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del minor sacrificio necessario, in base al caso concreto.
LA SENTENZA
Con iniziale ordinanza, era stata applicata ad alcune persone la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di violenza sessuale di gruppo ex art 609-octies. In sede di riesame, il Giudice aveva escluso per uno degli indagati la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e (oltre a confermare la misura detentiva applicata a un quarto indagato) aveva disposto, per gli altri, la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari; detta soluzione veniva adottata alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e sulla stregua di altre sentenze della Corte costituzionale omogenee a quella del caso di specie per il bene protetto.
La Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame, ritenendo, in particolare, illogica la motivazione relativa all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di uno degli indagati.
Ebbene, investito nuovamente a seguito del rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, il Tribunale di Salerno, da un lato, sottolineava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato esclusi dalla precedente decisione e, dall’altro, confermava la valutazione circa l’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari già applicata agli altri indagati in sostituzione della custodia cautelare in carcere originariamente disposta: la misura degli “arresti domiciliari”, restringendo l’indagato in un ambito familiare e coniugale e comportando già un incisivo controllo dell’indagato e la preclusione di ogni situazione extraconiugale, appariva già adeguata a neutralizzare del tutto il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie per cui si procedeva.
Nella medesima ordinanza, il Tribunale di Salerno, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come novellato, nella parte in cui imponeva l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, per il reato di Violenza sessuale di gruppo ex art 609 octies c.p., quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari, e reputando tale norma in contrasto con i princìpi di uguaglianza e di ragionevolezza, di inviolabilità della libertà personale e con la presunzione di non colpevolezza.
La Corte costituzionale ha ribadito, altresì, che la disciplina delle misure cautelari è informata al criterio del minore sacrificio possibile e che la compressione del supremo bene della libertà personale, massima con la custodia cautelare, deve sempre contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto.
Per tale motivo – sottolinea la Consulta – il Legislatore ha strutturato il sistema delle misure cautelari secondo il modello della pluralità graduata, predisponendo una gamma di misure alternative, caratterizzate da differenti gradi di compressione sulla libertà personale e volte ad offrire un ventaglio utile per scelte “individualizzanti” del trattamento cautelare, valutabili in base alle singole e concrete fattispecie.
Il reato in oggetto, odioso e riprovevole, come la stessa Corte sottolinea, è stato oggetto di stratificazioni normative e, attesa la gravità del bene offeso e delle modalità di lesione, ha giustamente orientato il Legislatore nella prospettiva della definizione di un severo trattamento sanzionatorio. Tale considerazione non offrirebbe, di contro, un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare “speciale” come previsto dalla norma oggetto dell’avvenuta censura.
CONCLUSIONI
All’indomani di questa decisione vi è stata una vasta eco tra i mass media, con considerazioni, talora, foriere di fraintendimenti frettolosi ed inesatti.
In molti articoli e servizi televisivi, si è sciorinata la notizia per cui, con questa pronuncia, la Corte costituzionale avesse “detto di no” all’applicabilità della custodia cautelare per il gravissimo reato dello stupro di gruppo.
Invero, la Consulta, con tale sentenza, non ha assolutamente precluso né, meno che mai, escluso l’applicazione alla violenza di gruppo della più restrittiva forma di limitazione della libertà personale, ma ha, invece, rimodulato la pregressa presunzione assoluta di idoneità cautelativa della sola custodia cautelare, consentendo che, in base al caso concreto ed elementi specifici del reato in oggetto, le esigenze cautelari possano essere legittimamente soddisfatte da misure altre e diverse.
Dott.ssa Annalisa Gadaleta
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