Lavoro dei detenuti e tutela giurisdizionale
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Il lavoro costituisce lo strumento principale del trattamento penitenziario nell’ottica di rieducazione e risocializzazione del condannato ai sensi dell’art. 27, c. 3 Cost..
L’art. 15 della legge sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà (L. 354/1975) prevede che il trattamento penitenziario debba essere svolto avvalendosi “principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno” e inoltre che “ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato [sia] assicurato il lavoro”.
Il lavoro è visto come elemento basilare del trattamento penitenziario in quanto il detenuto, svolgendo un’attività produttiva, contribuisce al suo sostentamento ed eventualmente a quello della sua famiglia; inoltre, il lavoro favorisce l’acquisizione da parte del detenuto di una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e della coscienza del proprio ruolo sociale.
Le caratteristiche del lavoro negli istituti penitenziari ai sensi dell’art. 20 O.P. sono: l’obbligatorietà (per i condannati e per i sottoposti alla misura di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro), pertanto negli istituti penitenziari deve essere favorita la destinazione dei detenuti al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale; la non afflittività, non rappresentando il lavoro un inasprimento della pena ma una forma di organizzazione necessaria alla vita della comunità carceraria; la remunerabilità: il compenso è calcolato in base alla quantità e alla qualità di lavoro prestato, in misura non inferiore ai 2/3 del trattamento economico previsto dai contratti collettivi nazionali. Infine l’organizzazione e i metodi devono riflettere quelli della società libera, al fine di favorire il reinserimento sociale.
Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale ha riguardato il tema della natura giuridica del lavoro penitenziario, ovvero se si tratti di rapporto di lavoro di diritto pubblico o di diritto privato, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di riparto di competenza a conoscere delle controversie sul rapporto di lavoro.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 1087/88, ha individuato quattro tipologie di lavoro carcerario:
1) lavoro svolto all’interno dell’istituto alle dipendenze della stessa Amministrazione Penitenziaria, (addetti ai c.d. lavori domestici interni);
2) lavoro svolto all’interno dell’istituto (addetti alle c.d. lavorazioni);
3) lavoro extramurario svolto in regime di semilibertà;
4) lavoro all’esterno di cui all’art. 21 O.P. alle dipendenze di un soggetto privato, ma sotto il diretto controllo della direzione carceraria.
Sul punto è intervenuta la Cassazione con sentenza n. 10046 del 2007, stabilendo che per le controversie inerenti l’attività lavorativa dei detenuti svolta in favore dell’amministrazione penitenziaria o alle dipendenze di terzi, è competente il giudice ordinario, nella funzione di giudice del lavoro.
La Corte ha richiamato esplicitamente la sentenza della Corte Costituzionale n. 341/2006 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, co. 6, lett. a) O.P. laddove attribuiva al Magistrato di Sorveglianza la competenza a decidere sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti “l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali dei detenuti”.
Pertanto, la Corte di Cassazione conclude con l’attribuzione al giudice del lavoro della competenza a trattare le controversie del lavoro carcerario, ai sensi degli artt. 409 e seguenti c.p.c..
Dr.ssa Marta Tacchinardi
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