Sono passati vent’anni dal 1992, un anno terribile che aprì la strada a un biennio insanguinato: prima gli eccidi di Capaci e Via D’Amelio, poi le azioni terroristiche compiute da esecutori mafiosi contro il patrimonio artistico e culturale del paese.

All’epoca ero solo un bambino ma quegli eventi mi colpirono profondamente. L’uccisione di Falcone e della sua scorta fu il primo evento pubblico importante di cui abbia memoria e di quel periodo travagliato mi resta un ricordo vivissimo.

Ricordo le discussioni e la preoccupazione tra gli adulti, le edizioni dei tg e i servizi giornalistici che si succedevano concitati, le prime ipotesi e i dubbi che subito vennero avanzati riguardo le stragi e le modalità della loro esecuzione. Ricordo pure che si percepiva tra la gente una voglia forte di pulizia, la voglia di dire, come la folla che urlava durante i funerali di Paolo Borsellino: “Fuori la mafia dallo Stato!”. Mi ero fatto l’idea che quello che sarebbe venuto dopo sarebbe stata una lotta senza quartiere a Cosa Nostra, contro cui lo Stato avrebbe mobilitato tutte le sue forze.

Era una visione ingenua, forse: quella di un bambino, appunto.
Oggi sappiamo che le cose non andarono esattamente come ci si aspettava. Lo Stato, o meglio una parte dello Stato, in effetti si mobilitò ma lo fece per trattare con la mafia anziché per combatterla, si adoperò per rinsaldare con nuovi referenti i vecchi rapporti politici con Cosa Nostra, invece di reciderli.

Depistaggi, processi imperniati su falsi pentiti, dimenticanze e miracolosi ritorni di memoria da parte di personaggi allora ai vertici delle istituzioni (e si veda, in proposito, la vicenda dell’ex ministro Mancino, ora indagato a Palermo per falsa testimonianza); fino al sospetto più terribile: che la strage di Via D’Amelio abbia subito un’accelerazione proprio per eliminare un ostacolo alla trattativa in atto, trattativa di cui Borsellino era stato messo al corrente e a cui si opponeva con forza (come ha testimoniato, anche se solo a 17 anni di distanza, la dott.ssa Liliana Ferraro, allora a capo del Dipartimento affari penali del ministero della giustizia).

Falcone e Borsellino, dunque, traditi dalle istituzioni, quelle stesse istituzioni alla cui difesa hanno dedicato l’impegno di una vita.

Questo va amaramente constatato, come va sottolineato che il potere delle mafie in questo paese, dal ‘92 ad oggi, ha cambiato pelle ma non è stato sostanzialmente scalfito. Falcone e Borsellino uomini traditi e sconfitti, insomma.

I due magistrati, però, la loro rivincita ce l’hanno ogni giorno perché sono diventati delle vere e proprie icone, dei simboli potenti di Giustizia e Legalità che con il loro esempio hanno mosso e muovono le coscienze di moltissime persone, anche dei giovani che nel 1992 non erano neppure nati; mentre, come auspicavano entrambi, nel paese è cresciuto un forte e cosciente movimento culturale antimafia che non è più possibile mettere nell’angolo o eliminare dalla scena pubblica. Come recita un bello slogan dedicato ai due giudici e che rende bene il concetto: “Le vostre idee cammineranno sulle nostre gambe”.

Enrico Sbaffoni

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