Fermare il gigante Amazon e garantire pluralismo e concorrenza nel panorama editoriale italiano.

Con questa missione, dal primo settembre 2011, è entrata in vigore la legge che disciplina il prezzo dei libri, dopo l’approvazione parlamentare bipartisan del 20 luglio.

La legge prende il nome del suo primo firmatario: Ricardo Levi, deputato Pd. L’intenzione era quella di sviluppare il settore librario, sostenere la creatività, promuovere la diffusione del libro e in generale della cultura.
Ma allora perché la legge Levi ha suscitato reazioni contrastanti?

Il motivo più ovvio è quello che, almeno nel breve periodo, colpisce le tasche del consumatore. Chiunque venda libri, infatti, non potrà applicare sconti superiori al 15%.

Non mancano però eccezioni. La prima riguarda gli editori che, ad esclusione del mese di dicembre, potranno realizzare campagne promozionali cui il venditore è libero di aderire. Con questo espediente si potrà raggiungere massimo il 25% di sconto sul prezzo di copertina.

Il tetto del 20% è invece consentito sia in caso di mercati o manifestazioni fieristiche internazionali, nazionali o locali, sia in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, come ad esempio centri di ricerca, biblioteche, archivi, musei pubblici, istituzioni scolastiche di ogni ordine e università. Da ricordare che proprio fiere e mercati erano per i piccoli editori buone occasioni per aumentare le vendite con sconti e offerte arbitrarie. Inoltre chi – come le biblioteche – poteva, prima della Levi, usufruire di maggiori riduzioni, adesso, con l’aumento dei prezzi e la diminuzione dei budget di spesa, potrebbe acquistare meno titoli.

In merito al lettore: dove è il beneficio per il suo portafogli? C’è chi sostiene che nel lungo periodo una maggiore concorrenza garantirà l’abbassamento del prezzo di copertina, mentre gli editori si dividono tra chi saluta le nuove misure come panacea per sanare l’anomalia del mercato italiano (dove alcuni editori sono anche grandi venditori) e chi sostiene che non è questa la via da percorrere per aiutare le piccole case editrici.

In ogni caso, è anacronistico pensare di garantire la concorrenza cercando di colpire le vendite via internet (e-commerce), settore di cui Amazon era il maggior competitor, ma che in potenza potrebbe rappresentare una risorsa per tutti.

Forse l’acquisto di libri si dirotterà verso le piccole distribuzioni, ma il rischio è che il consumatore medio (e l’Italia non è un paese che brilli in Europa per quantità di libri comprati) potrebbe essere scoraggiato dall’aumento dei costi.

Tirando le somme, chi ne esce illeso è il campo degli e-book, che in Italia però stenta a decollare.

L’e-book garantisce più possibilità di inserimenti pubblicitari e, non essendo settore soggetto alla Levi, vi si può ancora applicare lo ‘sconto selvaggio’. Chissà che questo non comporti qualche vantaggio proprio per Amazon, quel gigante che si voleva abbattere con una fiondata.

Nell’attesa di ulteriori sviluppi, il tanto vituperato lettore nostrano si potrà consolare riscoprendo il piacere della lettura a basso costo su siti di scambio di libri o di compravendita dell’usato.

Che sia questa la nuova vera frontiera del libro?

Andrea Berri