I primi interventi in materia di specializzazioni non hanno solo riguardato l’abolizione delle tariffe e l’obbligo del preventivo su richiesta del cliente ma hanno introdotto importanti novità anche in materia di tirocinio.

Nonostante sia notorio che uno dei problemi più gravi che attanaglia la professione sia costituito dal gran numero degli iscritti e soprattutto dall’accesso ormai incontrollabile, non si è dato adeguato risalto a questo aspetto.

La durata del tirocinio non potrà essere superiore a diciotto mesi e per i primi sei mesi potrà essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini ed il ministro dell’Istruzione, università e ricerca, in concomitanza del corso di studio per il conseguimento della laurea.

Credo che il modello utilizzabile, realmente formativo e forse più vicino al nostro ordinamento sia quello francese che distribuisce in analogo periodo temporale un progressivo avvicinamento allo studio del professionista nel senso che il primo semestre viene dedicato ad un potenziamento degli studi con ulteriore specializzazione, gli ulteriori sei mesi vengono dedicati ad uno stage presso la pubblica amministrazione o in una impresa e finalmente, dopo una discreta formazione, si accede allo studio del professionista per l’ultimo semestre.

Quello ipotizzato dal nostro legislatore sembra tendere a ciò mantenendo però un equivoco di fondo che rischia di vanificare l’innovazione: può realmente comprendersi nel tirocinio il primo semestre nel quale il laureando deve ancora completare gli studi?

Osserva opportunamente il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Prof. Guido Alpa, che si rischia così di compromettere anche l’apprendimento universitario e non si gli si può dare torto.

Sono dunque da ipotizzare soluzioni alternative in grado di coniugare le diverse esigenze.

Orientare il laureando, infatti, è sicuramente opportuno e potrebbe costituire un beneficio sia per le famiglie italiane che per gli ordini professionali in quanto le prime non andrebbero a sostenere costi di formazione inutili, ove lo studente comprendesse di non essere tagliato per la professione, e gli ordini non vedrebbero crescere a dismisura i loro albi nei quali gravitano numerose persone che non esercitano realmente la professione ma come si dice spesso “sostano in un’area di parcheggio”.

Quale potrebbe essere allora la soluzione?

Quella che l’avvocatura si facesse parte diligente e provvedesse essa stessa ad orientare lo studente universitario nell’ultimo semestre di studi, introducendolo con la necessaria gradualità nei tribunali e negli studi professionali, senza distrarlo dalla propria attività e ponendosi come unico obiettivo non la formazione ma l’informazione.

In buona sostanza questo periodo non dovrebbe essere compreso nei diciotto mesi del tirocinio ma avrebbe come vero scopo quello di verificare, ed eventualmente consolidare nel giovane, la vocazione per la professione.

Questa felice intuizione, che in qualche modo può addirittura essere ritenuta antesignana della nuova disciplina sul tirocinio, si è sostanziata da più di un anno in un progetto, denominato ATRU perché frutto del lavoro di due associazioni, gli Avvocati della Tavola Rotonda ed ANF Roma ed è già operativa, fornendo lusinghieri risultati.

È importante che l’avvocatura affronti e risolva un problema che la riguarda direttamente implementando questa opportuna iniziativa e fornendo un contributo dei cui risultati godrà tra qualche anno allorquando si potrà verificare, anche attraverso tale gratuito orientamento, l’effettiva riduzione del numero degli iscritti.

È il momento di rimboccarsi le maniche e contribuire ad un indispensabile cambiamento.

Avv. Mario Scialla, Consigliere dell’Ordine