Legge in “Antigone” di Jean Anouilh

Scritto il 15/06/2011, 02:06.

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Creonte, re di Tebe, vieta di dare sepoltura a Polinice, accusato di tradimento perché ha tentato di assediare la città. Antigone, sorella di Polinice, viola la legge imposta da Creonte. La mancata conciliazione tra i due personaggi porterà a un tragico epilogo.

Il mito di Antigone esprime un conflitto fra due legittime espressioni di diritto. Jean Anouilh, grande appassionato dei classici greci, reinterpreta il dramma di Sofocle per dare risalto all’opposizione tra individuo e potere pubblico.

Anouilh rielabora la tragedia sofoclea e crea un atto unico in prosa rivolto con lo sguardo verso il doloroso momento storico in cui si trova a vivere. Il testo, infatti, è scritto nel 1942 a Parigi, quando la capitale francese, sotto il governo di Vichy, subisce l’assedio nazista. Messa in scena per la prima volta nel 1944 al Théâtre de l’Atelier di Parigi per la regia di André Barsacq, la pièce fu un insuccesso e suscitò un dibattito tra chi vi leggeva una difesa dell’ordine costituito e chi, al contrario, vi intravedeva un messaggio di ribellione.

I protagonisti di questa “Antigone” moderna risultano ormai del tutto smitizzati. Le loro azioni non sono condizionate da un’idea di diritto cui appellarsi, quanto da un senso fatalistico degli eventi. Creonte e Antigone si abbandonano al loro destino, consapevoli di dover interpretare i ruoli che il dramma dell’esistenza ha loro assegnato. Anouilh difatti gioca con l’espediente del teatro nel teatro (e di vita come teatro) sin dal Prologo. Inoltre, non a caso nella pièce appaiono diversi richiami a drammaturghi come Shakespeare e Pirandello.
Il re di Tebe deve recitare la parte più difficile. Il suo potere è condizionato dagli umori dei cittadini, i quali esigono che il corpo del ribelle Polinice resti insepolto. In altri termini, Creonte avrebbe colto l’istanza di Antigone senza reticenze, se non avesse dovuto assecondare i tebani. Pertanto l’editto da lui emanato non è che una mossa politica.
Anche Antigone sembra poco convinta delle proprie azioni. Quando Creonte le chiede perché ha trasgredito la legge, la giovane risponde: “Pour personne. Pour moi” (“Per nessuno. Per me”). Risposta illuminante; la giovane trasgredisce la legge della città colta da un impulso individualista, e non c’è più traccia delle invocazioni agli dei pronunciate dall’eroina sofoclea. In assenza della fede divina, si avvia alla morte con dubbi e paure, prigioniera (cioè priva di libertà) e vittima di un universo (interiore ed esteriore) privo di senso, in cui il Potere Pubblico diviene parte integrate dell’assurdo e dell’irrazionale che domina il mondo.

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