Il difensore nel (corto) circuito mediatico

Scritto il 11/12/2011, 06:12.

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Fermo restando il rispetto nei confronti della libertà di informazione, non possiamo più tacere e non interrogarci sulla confusione e commistione tra ambito giudiziario ed informativo che ha prodotto oggi effetti devastanti sulle regole proprie di uno Stato di Diritto.

Cogne, Erba, Perugia, Rignano, il caso dello stupro al parco della Caffarella a Roma, Avetrana, sono tutti casi giudiziari in cui la sovraesposizione mediatica ha contaminato ed inquinato la verità processuale.

Assistiamo tutti i giorni alla pubblicazione integrale di tutto ciò che viene raccolto durante le indagini e man mano che viene raccolto viene interamente offerto a stampa e tv; assistiamo alla riproduzione durante i tg o i vari talk show delle registrazioni audio degli interrogatori.

Tanto per evidenziare le dimensioni oggi assunte da questo fenomeno, non dimentichiamo che con il caso “Avetrana”, per la prima volta, il riflesso mediatico di una vicenda giudiziaria entra in un provvedimento restrittivo della libertà personale addirittura per giustificare l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

L’ordinanza in questione, infatti, ha fatto riferimento alla “straordinaria capacità (dell’indagato) di manovrare abilmente i media”.

È fondamentale non tacere, perché il danno alla reputazione dei nostri assistiti è un danno irreparabile: l’opinione pubblica fa propria la verità mediatica nel momento in cui il livello di interesse per il singolo caso è altissimo, mentre la verità processuale si stabilisce molto dopo, quando ormai l’interesse è scemato ed il fatto non fa più notizia, e neanche una sentenza di assoluzione consente di tornare indietro ad azzerare la verità mediatica.

Dicevo che si tratta di un fenomeno solo parzialmente nuovo, in quanto ormai, da molto tempo, la rappresentazione mediatica del caso giudiziario trasforma il processo in un immenso show.

Ricordo un comunicato stampa della Camera Penale di Roma dal titolo “L’arresto a mezzo stampa”, in occasione dell’annuncio/notifica operato dal TG1 (il termine è tecnicamente improprio ma indicativo) della richiesta di ordinanza di custodia cautelare per il reato di omicidio volontario nei confronti di un carabiniere coinvolto nel “caso Marrazzo” e poi ribadita a lettere cubitali da tutti i quotidiani.

La notizia esplode mediaticamente, o meglio viene fatta esplodere, mentre vi è un Giudice che sta decidendo sulla richiesta e che rischia fortemente di essere contaminato.

La Camera Penale di Roma lo definì “spettacolo di feroce, inappellabile inciviltà”. Perché di questo si tratta.

Ma c’è una novità in questo fenomeno, altrettanto grave anzi, forse, più grave ancora. Il fatto che tra i protagonisti di simili “inciviltà” oggi purtroppo dobbiamo far rientrare anche alcuni “difensori”.

E’ normale che, in un caso di interesse mediatico, anche il difensore vi si trovi proiettato, spesso non volendo. Tuttavia dobbiamo ammettere che anche il difensore non è sempre un protagonista passivo ed inconsapevole di questo fenomeno degenerativo.

Vediamo difensori che rendono nota davanti alle telecamere la linea difensiva concordata con l’assistito, che rendono noti i contenuti dei colloqui con l’assistito, che esplicitamente inducono l’opinione pubblica a dubitare della credibilità del proprio assistito. “Il mio assistito non dice la verità”!!!

In un comunicato stampa la giunta dell’UCPI, denunciando il fenomeno, ha parlato di “Avvocati dalla Deontologia Precaria”.

Aggiungo che si tratta di avvocati che hanno perduto il senso del proprio ruolo e della funzione che ognuno di noi è chiamato a svolgere.

Avv. Paola Rebecchi

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