Da “L’Eco dell’ISSP” (n. 5 maggio 2013): “La voce di Maria”

Scritto il 15/06/2013, 05:06.

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Logo di "L'Eco dell'ISSP" © DA “L’ECO DELL’ISSP” ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI PENITENZIARI n. 5 maggio 2013

Nei giorni scorsi Laura Boldrini, Presidente della Camera, è stata oggetto di un’ondata di insulti, veicolati dalla Rete.

Ha ricevuto migliaia di mail con minacce di morte, di stupro, di tortura.

Oltre alle parole, gli autori dei messaggi hanno inserito delle immagini. Ad esempio, il suo viso sorridente su un corpo di donna sgozzata.

Le minacce, quasi tutte a sfondo sessuale, all’inizio erano solo una decina, poi si sono moltiplicate, e intensificate in seguito alla sua visita alla Comunità Ebraica, il 12 aprile, durante la quale aveva richiamato la necessità di applicare la Legge Mancino, a proposito dell‘incitamento all‘odio razziale tramite web (cfr. Concita de Gregorio: “L’intervista” in “ La Repubblica” del 3.5.2013).

Negli stessi giorni, il Ministro dell’Integrazione, Cécilie Kienge, veniva bersagliata di insulti e frasi razziste, sia direttamente, che indirettamente, grazie all’anonimato garantito dalla Rete.

L’affermazione più leggera: “L’Italia non è meticcia. Kienge rimpatriata subito”.

Negli stessi giorni, una tra le altre, Alessandra Jacullo moriva, soffocata dal suo stesso sangue, uccisa dalle coltellate infertele alla giugulare, nei pressi di Acilia, vicino Roma.

L’immagine della donna sgozzata, divenuta realtà. Una donna libera, anche nel vivere la sua sessualità, ridotta a un fantoccio inanimato.

Cosa lega le tre vicende?

Commentando la denuncia della Boldrini, Adriano Sofri riflette su quale sia la questione essenziale: “Il repertorio di insulti, minacce, fantasie di violenza… è una notizia importante sulla nostra salute mentale e sulla nostra maturità civile… è un criterio attraverso cui valutare a che punto è “la crisi” non meno importante dei dati economici o finanziari di cui febbrilmente si segue l’andamento”… “La violenza delle reazioni è in proporzione alla frustrazione che segnala: è un automatismo, come conferma la storia simultanea di Laura Boldrini e di Cècilie Kienge, donna, nera e fiera” (Adriano Sofri: “La denuncia e lo scandalo“ in “La Repubblica” del 4.5.2013).

Laura Boldrini ha denunciato pubblicamente le minacce ricevute, e ha lanciato un appello al mondo politico e alla società civile, indicando due tematiche su cui riflettere.

La prima: occorre riconoscere che esiste una questione grave, diffusa, collettiva, una emergenza in Italia del fenomeno della violenza contro le donne.

Esiste una cultura sotterranea, in qualche parte condivisa, che usa il linguaggio delle umiliazioni e della sopraffazione, e su questo fenomeno occorre dare una risposta a livello istituzionale.

La seconda, più spinosa da affrontare, riguarda la diffusione dei reati commessi tramite web, e la necessità di controlli e di garanzie per l’incolumità personale.

Occorre una riflessione sul pericolo di una maggiore tolleranza sulle minacce espresse in rete, come se fossero meno gravi di una scritta su un muro o una minaccia diretta.

Su questa tematica è intervenuto Stefano Rodotà, ex Garante della privacy, secondo cui un reato commesso “online” ha la stessa valenza di un reato “concreto”.

Esiste già un apparato normativo che punisce i reati “virtuali” alla stessa stregua di quelli “materiali”, con uno strumentario giuridico piuttosto articolato.

Il problema è legato alle caratteristiche della rete che, per la sua rapidità, l’ampia divulgazione, la facilità di accesso, richiede un sistema di garanzie adeguato.

Quando la magistratura ritiene di dovere rimuovere un contenuto diffamante, deve potere contare su una struttura tecnica in grado di farlo in tempo reale, risalendo con certezza all’autore.

Ad esempio, il nucleo di agenti di polizia postale assegnato alla Camera si limita a due unità, non adeguate all’ampiezza degli interventi richiesti.

“Resta la necessità della battaglia culturale: in Italia esiste, ed è molto forte, una cultura razzista, omofoba, sessista”… (Stefano Rodotà, in “ La Repubblica” del 5.5.2013.).

Abbiano qui riportato due voci autorevoli, di donne che ricoprono cariche pubbliche, che invitano a reagire, a non voltarsi dall’altra parte.

Cécilie Kienge dichiara “umanamente sono ferita dagli insulti, ma non mi fermo”.

Laura Boldrini, a sua volta: “Certo, sì, ho paura…. ma non ho paura, adesso, di aprire un fronte di battaglia, se necessario”.

Occorre dare voce anche a tutte le altre, adesso.

Alle donne “comuni”, che dopo la denuncia passano il momento peggiore: è il momento in cui la vittima si espone, scatenando una rabbia ancora maggiore del persecutore.

In questa fase le donne non devono essere lasciate sole.

Se non riescono a nascondersi in un centro antiviolenza sono davvero a rischio perché, nell’attesa che la giustizia attivi la sua rete di protezione, potrebbe essere troppo tardi.

Ma i dati descrivono una realtà scoraggiante. Tre donne su dieci per stanchezza ritirano la denuncia di stalking, meno del venti per cento dei mariti e compagni violenti viene allontanato dai nuclei familiari, mentre in tutta Italia soltanto ci sono 127 centri antiviolenza, per lo più al nord, e di questi pochissimi (61) sono “case rifugio” dove donne e bambini possono trovare riparo e salvezza (Dati tratti dal sito dello sportello anti-stalking dell’Associazione “ Differenza-Donna”– progetto di cui è responsabile Anna Costanza Baldry, psicologa).

C’è molta strada da fare, che coinvolge, a tutti i livelli, le istituzioni, la società civile, le coscienze individuali: anche nella responsabilità dei comportamenti quotidiani, nella scelta del linguaggio, nella coerenza delle proprie azioni.

Soprattutto, perché non si debbano più sentire le strazianti parole di Maria, stuprata a 15 anni da otto coetanei nella pianeta di Montalto di Castro, nel 2007.

Da allora ha cambiato città, studi, soffre di depressione e di disturbi alimentari.

Sue le parole dolenti: “Se avessi saputo che finiva così, non li avrei mai denunciati”.

Maria deve essere adottata da tutti noi, sostenuta e tutelata dalla collettività cui appartiene.

Per ricordare, e per impedire che ogni giorno altre Marie vengano offese e umiliate, e rimangano senza voce.

Dott.ssa Alessandra Bormioli, Direttore Servizio Studi e Ricerche Istituto Superiore Studi Penitenziari

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