Il divieto di “perizia psicologica” sull’imputato ex art.220 c.p.p. non si estende anche alla possibilità – ritenuta ampiamente ammissibile in giurisprudenza – di effettuare un controllo peritale sull’attendibilità della persona offesa-teste, anche in assenza di condizioni patologiche psichiche, in quanto “la sua deposizione, proprio perché può essere assunta da sola come fonte di prova, deve essere sottoposta ad una rigorosa indagine positiva sulla credibilità anche soggettiva, che deve essere verificata pure sotto il profilo della capacità a testimoniare ai sensi dell’art.196 c.p.p.” (Cass., sez. III, n° 37402/2006).

In particolare, il problema si presenta complesso e delicato nei casi di minori sessualmente abusati – in considerazione delle implicazioni che la materia comporta (di ordine etico, culturale ed affettivo) – laddove il legislatore ha previsto una procedura peculiare (art. 498 c.p.p., co.4).

L’idoneità a testimoniare del minore non è legata all’età anagrafica: la Cassazione ha, infatti, precisato che “le testimonianze dei minori sono fonte legittima di prova: perciò l’affermazione di responsabilità dell’imputato può essere fondata anche sulle dichiarazioni dei minori, specie se queste siano avvalorate da circostanze tali da farle apparire meritevoli di fede”.

Spetta quindi al giudice di merito valutare la credibilità delle deposizioni di testimoni minorenni, in particolare compiendo “l’opportuno discernimento tra ciò che è frutto di ricordi reali e ciò che è frutto di fantasia o semplicemente di ricordi confusi”.

Sull’utilizzo della perizia in tema di attendibilità del minore la Cassazione ha statuito che “la valutazione del contenuto della dichiarazione del minore parte offesa in materia di reati sessuali […] deve contenere un esame dell’attitudine psicofisica del testimone ad esporre le vicende in modo utile ed esatto e della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Proficuo è l’uso dell’indagine psicologica che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo […] è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto e rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna” (Cass., sez. III, n° 8962/1997).

Sulla validità della testimonianza del minore vittima di violenza sessuale anche in assenza di perizia la Cassazione si è espressa di recente (sent. n° 40342/2012) ribadendo che “in tema di reati sessuali nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacché un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell’attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità”, non ricorrendone la necessità neanche in relazione alle dichiarazioni dell’adolescente, la cui naturale maturazione è connessa all’età, ove si possa escludere la presenza di elementi (ad es. predisposizione a elaborazione fantasiosa o a suggestione) tali da rendere dubbio il narrato.

Dott.ssa Marta Tacchinardi