Giustizia lumaca? L’economia ne risente. Conversazione con Roberto Sommella

Scritto il 18/03/2013, 11:03.

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Roberto SommellaTra i tanti motivi per cui gli operatori internazionali non investono in Italia c’è anche la sfiducia nell’organizzazione del settore giustizia (es. processi lunghi). Ci può spiegare meglio quanto incide il ‘malfunzionamento giustizia’ sull’economia e cosa potrebbe fare la Politica a riguardo?

Indubbiamente nel nostro paese non c’è solo lo spread finanziario che abbiamo cominciato a conoscere dal 2011. L’Italia è afflitta da una perdurante carenza di attrattività verso i grandi capitali esteri (anche se, quando ci sono le condizioni, gli stranieri trovano sempre modo di comprare i nostri gioielli industriali, come Bulgari o Parmalat) e questo dipende essenzialmente da tre motivi: incertezza delle regole, incertezza del quadro fiscale, incertezza dei tempi della giustizia.

Nessun imprenditore sano di mente può confidare in un sistema che richiede oltre 100 giorni, che a volte raggiungo i 365 per le burocrazie locali, per le abilitazioni ad aprire un’attività, oltre 1700 giorni per avere una sentenza civile, svariati anni per conoscere dalla Corte di Cassazione i principi fondamentali di alcune fattispecie fiscali come l’abuso del diritto.

In questo contesto, il governo può fare molto, ma probabilmente serve una profonda riorganizzazione dei processi e dei quadri organici. E non è detto che non occorra anche un condono tombale giudiziario per resettare il sistema.

In questo momento di crisi, quale pensa possa essere il contributo degli Avvocati per una effettiva e visibile tutela dei diritti dei cittadini volta sì all’interesse particolare ma nel solco dell’interesse generale?

In questo momento il ruolo degli avvocati è fondamentale: devono far parte della necessaria opera di rilancio del nostro paese, senza settarismi né prese di posizione ideologiche.

E, come tutte le categorie, gli avvocati devono ammettere di aver sbagliato nel difendere posizioni anti-storiche come nel dibattito sulla riforma delle professioni, o nell’essere, a volte, loro stessi causa della giustizia lumaca per alcuni atteggiamenti meramente ostruzionistici.

L’Italia è un paese con troppe leggi e troppi contenziosi. Non si tragga la facile conclusione che per questo a Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia, ma l’opinione pubblica tende a fare questa equazione.

Per uscire dalla crisi, quali provvedimenti riguardo a banche e finanza dovrebbero essere attuati in Europa nel breve e nel lungo periodo?

Per uscire dalla crisi europea a mio avviso occorrono tre cose. Separare l’attività creditizia delle banche da quella finanziaria, altrimenti i finanziamenti ottenuti a tassi stracciati dalla Bce continueranno ad essere utilizzati non per dare credito a famiglie e imprese, ma per fare trading e migliorare i bilanci dei medesimi istituti.

Rivedere le norme sul rigore e i vincoli di bilancio: occorre sospendere in questa fase di recessione elementi pro-ciclici come il Fiscal compact e il pareggio di bilancio.

Infine, permettere alla Bce di stampare moneta per rendere più competitivo l’euro e le aziende europee che esportano. Lo fanno la Fed americana, la banca centrale svizzera e quella giapponese: non si può combattere la guerra valutaria della svalutazioni competitive con un braccio legato dietro la schiena.

Secondo Lei, è possibile regolamentare il mercato finanziario in Italia o si può pensare a interventi solo su scala europea e mondiale? La nostra politica è propensa a interpretare un ruolo attivo in questo settore?

Il mercato finanziario è ormai da tempo mondiale, e le regole europee.

Nell’Unione Europea bisogna evitare regolamenti che allontanino i capitali verso piazze finanziarie o più indulgenti o più attrattive fiscalmente.

In Italia occorre invece essere meno zelanti nell’adottare ciecamente leggi che rischiamo di colpire solo i risparmiatori del nostro paese (vedi Tobin Tax, già scattata da noi ma non in Germania) o di frenare i percorsi di rilancio economico: è, di nuovo, il caso del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio, adottati già da quest’anno dal Parlamento italiano, a differenza di altri paesi come la Francia.

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