UE 2.0? No! “Alla riconquista della sovranità!” Conversazione con Stefano D’Andrea

Scritto il 20/04/2013, 08:04.

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In sintesi, che cos’è l’Associazione “Riconquistare la Sovranità” e qual è stato il motivo principale della sua recente costituzione?

È un’associazione di cittadini italiani, già presente in sedici regioni, il cui scopo sociale è di costruire una rete di persone che intendono riconquistare la sovranità politica ed economica. La nostra analisi muove dalla constatazione che sussiste un irrimediabile contrasto tra il titolo III della Costituzione (dedicato ai rapporti economici ndr) e i principi dei Trattati europei.

Infatti, l’Unione europea abbatte i confini degli Stati europei, anche nei confronti dei paesi terzi e crea un mercato aperto nel quale deve vincere la logica del più forte.

Al contrario, l’art. 41, terzo comma, della Costituzione prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

L’Unione europea sopprime tutti i possibili poteri degli Stati e quindi dei popoli di disciplinare l’economia, affidando il sistema economico alla pura concorrenza tra imprese e tra gestori dei grandi capitali internazionali, nonché alla BCE.

Mentre la Costituzione sancisce che il popolo italiano, attraverso lo Stato, disciplini l’economia. In questa sede, un’analisi approfondita è impossibile. Mi limito a recare un esempio: l’art. 47 prevede che “La Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Invece, la disciplina del credito è in gran parte eteronoma e di matrice europea; il coordinamento è scomparso perché il dogma unionista è la concorrenza; e ora vogliono trasferire a livello europeo anche la vigilanza bancaria.

I due programmi politico-economici sono in irrimediabile contrasto. Il Parlamento e il Governo italiani applicano o l’uno o l’altro. E in ragione del prevalere del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno italiano, anche di rango costituzionale (opinione giuridicamente infondata la quale, tuttavia, attesta un fatto), sono ormai più di venti anni che Parlamento e Governo italiani svolgono il diritto europeo, anziché il diritto costituzionale dei rapporti economici.

Lo scopo dell’associazione è di cominciare a unire i cittadini sovranisti. Ciò che sta accadendo in Spagna, Grecia, Cipro, Portogallo, Slovenia e Italia testimonia che l’Unione europea, così come progettata dal Trattato di Maastricht, è un progetto fallito, che sta generando esiti catastrofici.

Dappertutto stanno facendo capolino idee e movimenti volti a distruggere il mostro che abbiamo creato e che ci sta divorando. Nei prossimi anni in Italia sorgerà, per forza di cose, un partito sovranista. Noi stiamo cominciando a organizzarci.

Ritenete giuridicamente possibile per l’Italia “uscire” dall’Euro?

Non è possibile giuridicamente uscire soltanto dall’euro.

L’euro e le disposizioni che hanno a oggetto la politica monetaria degli Stati sono parte dei Trattati europei. In presenza delle condizioni previste dalla Convenzione di Vienna sui Trattati o in forza dell’art. 50 del Trattato sull’Unione europea si può recedere dai Trattati europei.

Non è legittimo, invece, che uno Stato asserisca: “le disposizioni relative all’euro e alla politica monetaria non mi si applicano più; le altre invece continuano a vincolarmi”.

L’autorevole Giuseppe Guarino ha sostenuto che si possa uscire soltanto dall’euro, in base all’argomento della “ragionevolezza”: se era possibile entrare o non entrare nell’euro, deve essere anche possibile uscire.

Tuttavia, le cose non stanno così. Infatti, si poteva decidere di restare fuori dall’euro: Inghilterra e Danimarca hanno esercitato questa opzione. Altrimenti, si poteva decidere o di entrare nell’euro o di assumere la qualifica di “Stato membro con deroga”.

Ma gli Stati membri con deroga sono destinatari di una disciplina dei trattati (artt. 139-144 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non a caso contenente le “disposizioni transitorie”), la quale prevede vincoli e controlli volti a far convergere gli Stati con deroga con gli Stati che hanno adottato l’euro, affinché i primi adottino la moneta comune.

Nessuna disposizione dei Trattati prevede che uno Stato che abbia adottato l’euro possa unilateralmente decidere di divenire “Stato membro con deroga”. D’altra parte Helmut Kohl nel 1996 dichiarò: “Un’Italia fuori dall’euro farebbe una concorrenza rovinosa all’industria tedesca. L’Italia deve quindi essere subito parte dell’euro, alle stesse condizioni degli altri partner”.

Perché la Germania dovrebbe accettare che l’Italia esca dall’euro e tutte le altre condizioni dei trattati rimangano uguali e in vigore? Dunque, uscire unilateralmente soltanto dall’euro non è giuridicamente possibile e costituirebbe un illecito che darebbe luogo a feroci reazioni da parte di altri Stati, in particolare da parte della Germania.

Sarebbe sufficiente abbandonare la moneta unica per “riconquistare la sovranità” nazionale, oppure sono necessarie ulteriori iniziative?

Come ho osservato, non è possibile semplicemente abbandonare la moneta unica. Comunque, il problema della moneta unica possiamo considerarlo “risolto”. La moneta unica verrà abbandonata. Non vi è alcuna possibilità che la Spagna e la Grecia abbattano la disoccupazione (27 e 30%) restando nella moneta unica. E l’Italia non può uscire dalla depressione, finché manterrà l’euro. Allo stesso modo, la Francia non può impedire la continua, sia pure sottile, erosione di competitività rispetto alla Germania, restando nella moneta unica.

Ipotizzare come e in quale momento gli Stati europei metteranno fine all’avventura dell’eurozona non è serio e non serve a nulla. L’unica cosa certa è che l’euro verrà meno: per accordo o per una rottura dell’ordine giuridico europeo. A quel punto tutta l’Unione europea verrà in discussione.

Cosa dovrebbe fare l’Italia in quel momento? Tornare alla disciplina vincolistica della circolazione dei capitali abrogata nel 1990. Tornare alla legge bancaria del 1936, che non era una legge “fascista”, visto che venne mantenuta intatta durante tutta la prima Repubblica. Escludere radicalmente la concorrenza nel mercato bancario.

Reprimere la rendita finanziaria come facevamo, meglio di tutti, fino al divorzio tra banca d’Italia e Tesoro (1981): consentendo e poi imponendo acquisti di titoli del debito pubblico alla banca d’Italia; elevando di molto la riserva obbligatoria delle banche, da destinare direttamente o indirettamente all’acquisto di titoli del debito pubblico; ricorrendo al vincolo di portafoglio; re-introducendo lo scoperto di conto corrente del Tesoro presso la Banca d’Italia all’interesse dell’1%.

Accettare un’inflazione relativamente modesta, e porre come primo obiettivo la lotta alla disoccupazione.

Re-instaurare la stabilità del rapporto di lavoro.

Re-introdurre il contingentamento delle licenze di commercio.

Re-introdurre minimi tariffari decorosi per le professioni intellettuali.

Ri-pubblicizzare imprese strategiche nei campi in cui operano poche imprese in condizioni di oligopolio.

Limitare drasticamente la possibilità di ricorso al credito al consumo.

Qualcuno obietterà: la storia non torna indietro! E invece la storia torna indietro. Banca universale, liberalizzazione della circolazione dei capitali, elevatissimo livello del commercio estero rispetto al PIL degli Stati e basse tariffe doganali caratterizzavano l’economia mondiale prima della crisi del 1929.

Negli anni trenta, quelle regole furono sostituite da regole opposte, introdotte per uscire dalla crisi.

Dalla metà degli anni ottanta, le regole introdotte negli anni trenta sono state pian piano smantellate dapprima in vista e poi sotto la spinta dell’Unione europea: si è tornati alla disciplina vigente tra la fine del XIX secolo e il primo trentennio del XX. Se la storia è completamente tornata indietro una volta, perché non potrebbe tornare indietro una seconda?

La vostra è una critica radicale al progetto di unificazione del continente in uno stato federale europeo. Quali alternative immaginate per garantire comunque la collaborazione e la pace fra le Nazioni del “vecchio continente”?

Proponiamo di tornare a qualcosa di simile al vecchio mercato comune (CEE) – inopinatamente abbandonato per la creazione del mercato unico (UE) – composto da un numero più limitato di Stati membri rispetto agli attuali membri dell’Unione europea. Non è l’Unione europea ad aver portato la pace.

Essa, sorta formalmente a Maastricht ma preparata dall’atto unico, ha portato la rinascita del nazionalismo, conflitti, squilibri e povertà. La pace è stata assicurata, al più, dalla CEE della quale l’UE non è lo svolgimento ma la negazione.

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Stefano D’Andrea è Presidente dell’Associazione Riconquistare la Sovranità
www.riconquistarelasovranita.it

(intervista a cura di Francesco Picozzi)

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