In Europa serve un nuovo manifesto

Scritto il 6/02/2014, 12:02.

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ueNel nostro vecchio mondo i governi di larghe intese devono scolpire i loro programmi nell’acciaio della Ruhr. E non è detto che basti, perché prima o poi si scontrano con le spinte dei diversi gruppi di potere e nuclei sociali che ormai contano più di quel che resta dei partiti. Se pure in Germania si fatica a far nascere un’alleanza tra opposti, perché non alzare lo sguardo e provare a fare qualcosa di rivoluzionario?

Nel’’Europa della crescita zero e della disoccupazione serve una Grande Coalizione di tutti i partiti riformisti che rediga un nuovo Manifesto dell’euro, onde evitare che a dettare legge nei prossimi anni siano le formazioni nazionaliste e il rigore autonomista della Germania. Una prospettiva drammatica, se la storia insegna ancora qualcosa, anche per Berlino. Non ci sono alternative. Roma, Parigi, Madrid e chi altro ci sta devono stendere un programma, siglare un’alleanza, affinché si riportino al centro delle decisioni i temi della crescita e del sostegno alle economie sfiancate dai morsi della recessione.
E’ un obiettivo ambizioso ma è l’unico dettato dalla ragione. Bisognerà accontentarsi di un nuovo quinquennio fatto di bilanci statali sotto osservazione e stretti alla gola dal Fiscal compact o, come sosteneva Jean Monnet, l’Europa si potrà ancora fare “nella crisi“? La domanda è lecita se si considera che finora ”nella crisi” è cresciuta solo l’economia tedesca: dal 2008 la sua ricchezza è aumentata di cinque percentuali mentre quella dell’Eurozona è ancora di due punti sotto il livello del 2007.
E’ la negatività delle cifre a indurre un ragionamento definitivo che qui o si cambia l’Europa o si muore. La Germania e la Francia, un tempo storici alleati nell’accordo monocolore Merkozy, viaggiano a ritmo lento; la prima, che ha appena ricevuto un buffetto da Bruxelles per la sua politica dell’export, si accontenta di crescere dello 0,3%, la Repubblica di un deludente Francois Hollande arranca sott’acqua (-0,1%), tanto da far ipotizzare ad alcuni osservatori il ritorno alle urne per riequilibrare con un premier di centrodestra, come ai tempi del ticket Mitterrand-Chirac, un governo di centrosinistra del tutto immobile e inadeguato. E se l’Italia starebbe finalmente per uscire dal tunnel, qualcosa di meglio fanno la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo, ma solo perché hanno ricevuto aiuti e le loro economie sono meno tradizionali della nostra.
Anche la vecchia area dell’euro del Nord, tanto cara alla cancelliera, sta messa male, con Olanda e Finlandia in recessione. In questo quadro, la scelta di Berlino e di colei che sta per guidare il più popoloso e coriaceo paese dell’eurozona per la terza volta sembra quella di andare da soli: nessuna condivisione del debito, nessun eurobond, nessuna concessione sulla vigilanza bancaria unica, che pur dovrebbe destare un minimo di interesse e di opposizione nelle capitali degli altri partner, visto che si sta parlando di come garantire i depositi bancari sopra i 100.000 euro e a chi far pagare gli eventuali crack degli istituti di credito: agli azionisti, ai singoli Stati o ad un fondo comune.
Nel silenzio generale dove tutti sono impauriti da una crisi di sistema e dalla regressione industriale, ci si attacca alla speranza che le negoziazioni tra Cdu e socialdemocratici determinino un clamoroso ritorno alle urne dopo la consultazione di settembre o una svolta solidale della Germania. Ma è una speranza illusoria. Perché invece, come giustamente ha fatto il premier Enrico Letta, non rimettere al centro dei meeting che quasi sempre si concludono con accordi di stampo finanziario, la necessità di rilanciare lo sviluppo nel Vecchio Continente? Addirittura ci stanno provando, con intenti ovviamente distruttivi per la moneta unica e l’Unione europea, i partiti del tanto peggio tanto meglio. Marine Le Pen del fronte nazionale francese dialoga con Geert Wilders del Partito per la libertà olandese e i due potrebbero alla fine flirtare anche con il partito della Libertà austriaco, i Democratici svedesi, la lega Nord italiana e il fiammingo Vlaams Belangnon, tutti accomunati dall’odio per l’euro.
Dove sono i progetti di Schulz, Hollande e Rajoy e di tutti i partiti di buona volontà che credono ancora nel progetto europeo? Quale è la road map delle coalizioni di governo, più o meno allargate, che finora hanno imposto ai loro concittadini soltanto sacrifici per sostenere il sistema finanziario ed evitare l’eurocrack? Tutto tace. Crescono i nuovi populismi, Berlino si rinsalda nel suo cieco rigorismo indipendentista, e nessuno prova a chiedere, come pur hanno fatto una decina di economisti liberali tedeschi un nuovo Trattato per l’euro.
E’ di questo che abbiamo bisogno, di un nuovo Manifesto per la crescita e lo sviluppo dei popoli, molto di più del vecchio e inutile Patto di stabilità che sta portando alla stagnazione. Un Manifesto che parta dalla considerazione che all’Unione serve un governo dell’economia, ovviamente non a trazione tedesca e che l’euro non può permettersi debiti sovrani a tassi d’interesse così diversi. Abbiamo bisogno di un Esecutivo europeo, scelto e votato da un Parlamento europeo, dotato di un proprio bilancio e della capacità di intervenire con aiuti ai paesi in crisi e sostegni alle industrie in difficoltà.
Il Manifesto per la nuova Europa dovrà anche considerare la fondamentale esclusione dal computo dei rapporti deficit-Pil e debito Pil delle spese per investimenti, implementare nel migliore dei modi l’uso del bilancio comunitario di 1.000 miliardi di euro che fino ad oggi ha prestato un po’ troppo il fianco, una volta alle esigenze della finanza inglese, un’altra alle richieste dell’agricoltura francese, e perché no, considerare anche l’ipotesi di istituire un reddito di cittadinanza europeo. Non è troppo tardi per chiedere ai leader europei di mettere a punto una risoluzione che vada in tal senso per rafforzare le istituzioni e il senso dell’Europa, visto che entrambe verranno inevitabilmente messe in discussione alle prossime elezioni della primavera del 2014. Abbiamo bisogno di moneta, economia e difesa comuni. E ne abbiamo bisogno adesso.

Roberto Sommella
Direttore
Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali
Autorità Antitrust

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