Due parole sull’evasione fiscale

Scritto il 28/01/2012, 05:01.

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Sono anni che se ne parla e quasi non si trova persona che non sia pronta sempre a suggerirne una o più soluzioni: dall’abbattimento delle aliquote alla riduzione della spesa pubblica (oggi pure di focale importanza), dall’aumento dei controlli (anche a campione, vedasi Cortina e Roma) all’inasprimento delle sanzioni tributarie e penali-tributarie, dal miglioramento dei meccanismi di riscossione alla tracciabilità dei pagamenti sui conti correnti bancari e postali dei soggetti Iva, dall’integrazione delle banche dati tributarie e non degli Enti pubblici (per l’effettuazione di controlli incrociati informatici) all’attribuzione/ampliamento dei poteri fiscali in capo ai Comuni (in materia di verbalizzazione, accertamento, riscossione e iscrizione a ruolo) ecc..

La cosa veramente assurda, però, è che ciascuna di queste ‘soluzioni’, insieme a tante altre qui non citate per brevità, ha di per sé una propria efficacia, quanto meno in termini di immediata produzione di gettito ma non può essere adottata singolarmente, a meno che non si voglia continuare ad agire secondo ottiche di breve periodo.

Guardando, infatti, solo gli ultimi decenni, a partire dalla prima grossa riforma tributaria del ’71 che abrogò l’IGE (Imposta generale sui consumi) introducendo  l’Iva (che certo non ha bisogno di presentazioni), numerosi sono stati i “tentativi” dei vari governi succedutisi nel tempo di contrastare l’evasione fiscale.

Si è passati così da criteri ispirati a mere logiche repressive (che hanno visto ad esempio l’accentuarsi degli obblighi contabili e formali, l’inasprimento delle sanzioni tributarie e penali tributarie e il ricorso sempre più frequente a metodi di accertamento induttivi basati su veri e propri automatismi) a criteri ispirati invece a logiche di cosiddetta tax compliance, ossia di adempimento ‘spontaneo’ agli obblighi tributari attraverso una sorta di collaborazione tra Fisco e contribuente.

Il tutto, però, puntando sempre e solo ad obiettivi di breve e mai di medio-lungo periodo, con l’effetto che in entrambe le direzioni il risultato è stato sempre lo stesso, ossia un alto livello di evasione, accompagnato nel basso dalla progressiva espansione dell’illegalità fiscale e nell’alto da pressanti esigenze di gettito che hanno stimolato di continuo la necessità di ricorrere a condoni e sanatorie di ogni tipo che a loro volta però hanno avuto come contropartita la generazione di ulteriori forme di illegalità che attendevano solo lo statistico ripetersi dei primi per poter essere ‘abbonate’.

Il motivo? Che si è sempre trattato, appunto, di ‘tentativi’, finalizzati a tamponare ma non ad affrontare (per risolverlo) il problema, magari partendo proprio da un’analisi, la più completa possibile, delle vere cause che originavano tale crescente fenomeno. È per questo, ad esempio, che per combattere l’evasione fiscale l’attuale Governo Monti sta puntando (tra le altre) oltre che all’aumento dei controlli anche alla riduzione della spesa pubblica (e non solo per necessità di pareggio del bilancio). Se da un lato, infatti, i giorni di lavoro annui mediamente necessari a un cittadino per assolvere il proprio dovere fiscale sono stati 115 nel 1980, 140 nel 1990, 152 nel 2000 e 156 nel 2010, quelli necessari, invece, per coprire la spesa pubblica sono passati dai 140 del 1980 ai 182 del 1990, ai 155 del 2000, fino ai 174 del 2010. Idem per la stretta sulla riscossione. Finora, infatti, il fisco italiano ha incassato solo il 10% dell’accertato, contro il 94% degli Usa, il 91% dell’Inghilterra, l’87% della Francia, l’81% della Spagna e così via fino addirittura al 31% della Grecia.

Il problema (così come tutte le sue possibili soluzioni sulle quali qui non ci dilunghiamo), però, non è solo di tipo giuridico ed economico ma anche psicologico, quanto meno in riferimento alla percezione che i cittadini hanno dell’attuale sistema impositivo (vessatorio, iniquo e facilmente aggirabile da chi non è tassato alla fonte). Gli aspetti psicologici, infatti, risultano di fondamentale importanza ai fini di una corretta riuscita delle riforme. Il consenso, insomma, occorre e da esso non si può mai prescindere. È dimostrato infatti che il pagamento delle imposte, così come il rispetto di qualsiasi legge, non può essere affidato solo all’apparato repressivo se alla base non vi è un’adeguata conoscenza e condivisione dei principi e dei valori su cui esso poggia. Inoltre, anche la strategia generale di un serio contrasto all’evasione deve assolutamente implicare che nel paese lo stesso dovere fiscale sia realmente sentito (oltre che, appunto, condiviso) senza pensare che esso sia solo un obbligo ‘facoltativo’ al quale ci si può magari facilmente sottrarre.

In un’analisi effettuata nel 2007 dalla Banca d’Italia e intitolata “Le opinioni degli italiani”, si legge infatti chiaramente che: “alla base dell’evasione fiscale vi sono considerazioni etiche e influenze di contesto sociale e il recupero degli imponibili sottratti a tassazione deve fondarsi, oltre che su elementi coercitivi, anche sulla rimozione dei fattori utilizzati come giustificazione dell’evasione, nonché sulla diffusione di una cultura della legalità e sull’applicazione di sanzioni sociali per chi viola le regole”.

Ma quali sono le principali giustificazioni addotte per evadere? Volendo sintetizzare, si possono ricondurre essenzialmente a tre: necessità (ossia “evado perché altrimenti non ce la farei ad andare avanti”), principio (“evado perché il tributo chiesto non è giusto”), adattamento (“evado perché evadono tutti”). Il problema, però, è che tali giustificazioni (di solito solo pretestuose e ipocritamente utilizzate da chi ha semplicemente il desiderio di non pagare le tasse o quanto meno di pagarle il meno possibile, infischiandosene di giustizia sociale ed efficienza economica) hanno, seppur in astratto, un loro fondamento reale (e qui è lo Stato che spesso presta il fianco), costituendo un facile strumento di auto-convincimento della legittimità dell’evasione, e in definitiva anche un ostacolo politico per una decisa lotta contro il fenomeno evasivo.

Se poi a questi fattori di ordine psicologico che, sebbene pretestuosi, nascono comunque dall’osservazione di oggettive realtà di fatto, ci aggiungiamo da un lato un (diffuso) scarso senso di appartenenza al Paese insieme ad una bassa fiducia nelle Istituzioni che lo rappresentano e, dall’altro, magari il calcolo politico fondato sul timore di scontentare gli evasori (che sono di solito oltre che numerosi pure influenti) insieme ad un’insufficiente percezione e valutazione dei danni sociali che l’evasione stessa produce e ad una diffusa mentalità per cui l’evasione fiscale “in una certa misura è tecnicamente accettabile quando addirittura non necessaria” (e alcuni economisti addirittura lo sostengono), capiamo bene il motivo dei ‘tentativi’ fatti negli ultimi anni in luogo di riforme serie e organiche.

E quindi, indipendentemente (o quasi) dalle ulteriori soluzioni tecniche che il Governo deciderà di adottare, la prima arma per sconfiggere l’evasione fiscale è innanzitutto quella di un maggiore amore e rispetto verso il nostro Paese che, una volta per tutte, dovremmo iniziare a riconoscere e ad apprezzare sentendocene parte unica ed integrante, anche al di là, appunto, delle nostre stesse singole realtà territoriali (e sarebbe ora dopo 150 anni) e dei nostri singoli interessi privati, ogni tanto anche comprimendoli a fronte di quelli collettivi. Successivamente anche un maggiore rispetto verso le nostre stesse Istituzioni (che dovrebbero fare altrettanto tra di loro) e anche verso noi stessi perché, in fin dei conti, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno e da nessun punto di vista, e anche qui dovremmo possibilmente finirla di commiserarci e di guardare sempre agli altri paesi come se fossero migliori del Nostro. A chi però tutto questo dovesse sembrare troppo, potrebbe anche forse avere ragione, ma sicuramente adesso gli potrà essere più chiaro il motivo per cui in Italia il problema dell’evasione fiscale non è mai stato seriamente debellato.

Ivan Centomani, Ufficiale della Guardia di Finanza

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