I fornaciai della “valle dell’inferno”
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I passeggeri della Metro A che decidono di utilizzare la stazione Valle Aurelia non possono immaginare quanto fosse diversa la zona circostante solo qualche anno fa. Oggi, l’intero quartiere è affollato da anonimi palazzi ma ieri era territorio di laboriose industrie del mattone e laterizi vari.
Ancora oggi, a qualche metro della stazione della metropolitana si vede un piccolo edificio diroccato con annessa ciminiera, vestigia di una vasta zona in cui si fabbricavano mattoni sino dall’epoca classica. La materia prima era ricavata dalla terra estratta dai vicini Monti di Creta, facile cava attiva da centinaia d’anni. Il fumo generato dalle molteplici ciminiere hanno confermato il nome alla zona denominata sino a qualche anno fa “Valle dell’Inferno”, forse più probabilmente deriva dal latino locus inferus, nel medioevo corrotto in “inferno”.
Dalla fine dal XIX secolo a sino agli anni ’60 del XX secolo un proliferare di ciminiere e industrie costellarono la vasta zona di Via di Valle Aurelia e Via della Ceramica, le fabbriche erano circondate da baracche ove gli operai vivevano in condizioni estreme. In seguito venne costruito un villaggio di case in muratura per ospitare i fornaciai, occasione per mutare il toponimo in “Valle Aurelia”. Forse si pensò che cambiare il nome al quartiere potesse trasformare un luogo per disperati in una ridente borgata. Comprensorio quasi per intero demolito agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso.
I fornaciai, per la maggior parte sostenitori dell’ideologia socialista, si distinsero nella resistenza al Fascismo, combattendo contro le “camicie nere” in formazioni denominate “Arditi del Popolo” il 28 ottobre 1922 nel quartiere Trionfale. Altre azioni belliche vennero sviluppate durante il secondo conflitto mondiale contro le truppe tedesche. Oggi rimane poco dell’intera area industriale, si scorge a lato di Via Baldo degli Ubaldi la fornace Veschi. All’incirca fino al 2000, prima della legge volta al recupero dei borghi urbani, la “Valle dell’Inferno” era popolata da ruderi circondati da rovi, rifugio per senza tetto, silenzio e desolazione proprio dove il lavoro di centinaia di uomini hanno permesso l’espansione urbanistica della Capitale.
Dott. Massimiliano Prati – Presidente del Centro Culturale Milanese
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