È compatibile con le linee guida del C.P.T. l’art. 72 c.p.?
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Con il suo 21° Rapporto generale (1 agosto 2010 – 31 luglio 2011), il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.), pone un problema di significativo interesse per la legislazione penitenziaria italiana.
Tale documento, infatti, analizza l’istituto dell’isolamento dei detenuti, per come disciplinato e applicato nei Paesi aderenti alla Convenzione.
Tra l’altro, il Rapporto affronta i problemi della natura dell’isolamento e dell’autorità competente a disporlo, affermando che tale misura non dovrebbe “fare parte del catalogo delle sanzioni penali”; dunque “la collocazione in isolamento non dovrebbe mai essere pronunciata” dal giudice competente “come facente parte della pena”, ma piuttosto “dovrebbe essere rimessa alle autorità penitenziarie”.
Secondo il C.P.T., infatti, “le persone che hanno commesso un reato sono inviate in prigione come punizione” e non perché in tale luogo venga loro inflitta una punizione.
Viene, pertanto, da porsi l’interrogativo della compatibilità dell’art. 72 c.p. con le indicazioni appena viste, poiché tanto dal punto di vista della natura giuridica della misura quanto dal punto di vista dell’organo competente a imporne l’applicazione.
Invero, secondo la tesi prevalente [Cass. sent. 13599/2009, Aparo], l’isolamento diurno ha la natura di vera e propria sanzione penale per il concorso di reati che importano la pena dell’ergastolo con altri delitti puniti con pene detentive; la sua funzione è proprio quella di sanzione per questi ultimi delitti che, altrimenti, rimarrebbero impuniti, non essendo concretamente applicabile la pena per essi prevista [Cass. sent. 2116/2000, Natoli].
Non trattandosi di semplice modalità di esecuzione della reclusione, l’isolamento diurno è applicato, alternativamente, dal giudice della cognizione o da quello dell’esecuzione, ma certamente non dall’autorità penitenziaria; inoltre, diversamente da altre ipotesi di isolamento previste dall’ordinamento penitenziario, la sua esecuzione non è subordinata al rilascio di certificazione medica della capacità del detenuto di sopportare tale condizione.
Per contro, va detto che l’isolamento diurno – in base all’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 230 del 2000 – consente lo svolgimento di attività lavorative, anche in comune, nonché la partecipazione alle funzioni religiose organizzate nell’istituto e che non di rado, nella prassi, gli interessati vengono allocati in celle ovviamente singole, ma poste nelle sezioni ordinarie, cioè in reparti in cui si trovano anche detenuti non “isolati”.
Tali ultimi elementi – che pure riducono l’effetto segregante della misura de qua – non sembrano risolvere il contrasto sopra evidenziato fra le indicazioni del C.P.T. e il diritto interno.
Spetta, dunque, al Legislatore italiano il compito di valutare l’adozione di eventuali modifiche in materia, nel senso auspicato dal Comitato.
Francesco Picozzi
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