I detenuti possono chiamare telefoni mobili?

Scritto il 12/03/2012, 09:03.

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La possibilità per i detenuti di avere colloqui telefonici, rappresentò – all’epoca della sua entrata in vigore – una delle più significative novità della legge n. 354 del 1975, sull’ordinamento penitenziario (o.p.).

Tale forma di contatto con l’esterno è prevista dall’art. 18, c. 5, o.p., a mente del quale i detenuti possono essere autorizzati ad intrattenere “corrispondenza telefonica […] nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, […] con le modalità e le cautele previste dal regolamento”.

Quest’ultimo – D.P.R. n. 230 del 2000 – all’art. 39 integra la previsione legislativa individuando: le autorità competenti all’autorizzazione (c. 1 e c. 4), il numero di telefonate spettanti ai detenuti (c. 2 e c. 3), la procedura di rilascio del permesso (c. 5), la durata della conversazione (c. 6), nonché i casi in cui il colloquio può, o deve, essere registrato e ascoltato (c. 7).

Tra le altre questioni interpretative, l’evoluzione tecnologica ha posto quella concernente le telefonate verso utenze mobili. Infatti, pur rientrando la chiamata ad un cellulare nel concetto di corrispondenza telefonica, il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) ha per lungo tempo negato ai ristretti il permesso di effettuare questo tipo di telefonate. Ciò per ragioni di sicurezza, in quanto l’utenza mobile si presta, assai più di quella fissa, a consentire contatti con persone diverse da quelle con le quali il detenuto può relazionarsi.

Tale posizione è stata mantenuta nonostante le difficoltà pratiche dovute all’introduzione di alcuni servizi per gli utenti; come il “trasferimento di chiamata”, per contrastare il quale è stata emanata la circolare n. 3591/6041 del 2003.

Recentemente, però, con la lettera circolare n. 0177644 del 2010, il D.A.P. ha rivisto la propria impostazione, consentendo le telefonate verso cellulari ai detenuti che:

a) non effettuino, da almeno 15 giorni, alcun tipo di colloquio;

b) non abbiano altra possibilità di contatto con i congiunti se non tramite cellulare;

c) non rientrino nelle tipologie detentive di maggior pericolosità (41-bis e “alta sicurezza”).

Proprio tale ultima limitazione è stata motivo di reclamo in sede giurisdizionale (ex art. 14-bis o.p.).

Si è contestata, infatti, la legittimità di un trattamento deteriore fondato sull’inserimento dell’interessato nel circuito di alta sicurezza che, lo si ricorda, ha valenza meramente amministrativa, essendo previsto e disciplinato da circolari ministeriali.

Il Giudice – Mag. Sorv. Genova, ord. n. 1475 del 2011 – ha però respinto la doglianza, affermando che “la possibilità di effettuare colloqui” con telefoni mobili è soltanto “una modalità di esercizio del diritto che legittimamente può essere subordinata a valutazioni di compatibilità con le esigenze di sicurezza”. Infatti, secondo il Magistrato, “l’essenza del diritto risiede […] nella possibilità di avere contatti a distanza con i congiunti”, mentre le modalità di effettuazione di tali contatti possono subire “limitazioni anche non previste dalla legge”, purché ragionevoli.

Va detto, infine, che la regolamentazione descritta, poiché dettata da circolari, esplica i suoi effetti nei confronti degli organi amministrativi periferici, cioè le direzioni dei penitenziari (v. Cass., Sez. Un., sent. n. 23031 del 2007).

Ove competente al rilascio dell’autorizzazione, l’autorità giudiziaria potrà orientarsi diversamente, anche se nella prassi sembra prevalere un allineamento spontaneo alla direttiva ministeriale, probabilmente perché se ne condivide la ratio.

Francesco Picozzi

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